21
Mag 2018
Numero Nr. 464
“Alleanza strategica distinta tra Italia e mondo”

Messina, il gruppo di trasporti marittimi, punta sull’alleanza strategica per consolidarsi in Italia e disporre dei fattori di competitivita' per i mercati internazionali. Con il controllo in mano alla famiglia.  

Intervista con Stefano Messina, presidente del Gruppo Messina, di Oscar Giannino (anche video).

I trasporti marittimi sono passati con successo tra le luci e le ombre del recente passato, scandite dai ritardi della burocrazia. Ora la competitivita' di navi e equipaggi italiani sembra funzionare. E si puo' creare valore nella filiera import-export del secondo Paese manufatturiero d’Europa e settimo del mondo… 

Stefano Messina è presidente dell’omonimo Gruppo. Tra i vari incarichi è presidente della nuova associazione AssArmatori. Ha partecipato alla tavola rotonda del Premio Ceccarelli 2017 tenutasi in Sala Buzzati di Fondazione del Corriere della Sera ed è stato intervistato da Oscar Giannino, conduttore.

 

Fondata mel 1921, la Ignazio Messina & C. è il core business del Gruppo e fornisce regolari servizi di linea che collegano l’Europa Meridionale, il Mediterraneo, l’Africa, il Medio Oriente e l’India, servendo 40 diversi Paesi. Il Gruppo ha basi operative a Genova, Modena, Napoli, Londra, Barcellona, Valencia, Marsiglia, Zurigo e nei 50 porti collegati. Il fatturato 2015 è stato di 320 mln euro con l’occupazione di circa 1000 dipendenti nel mondo.

Oscar Giannino - Ci occupiamo di shipping con Stefano Messina. Io sono appassionato di economia dei trasporti del nostro Paese e piango da decenni, insieme ai protagonisti, perché ovviamente lì l’impatto del decisore pubblico è molto forte. Abbiamo avuto decenni alle spalle, prima che nel 2008-2011 il commercio mondiale iniziasse a scendere, in cui l’esplosione dei traffici era incredibile. C’era un ri-orientamento dei flussi in cui l’Italia era al centro della possibilità di riequilibrare lo shipping che faceva capo al Nord Europa, però il problema era fare le opere infrastrutturali nei porti a cominciare dal dragaggio e dal collegamento intermodale nei retroporti: è ovvio che ciò significava, per i protagonisti privati di questo settore impegnati in una concorrenza durissima, dover pagare un prezzo. Il decisore politico, a un certo punto, ha iniziato a ragionare diversamente perché ha capito che l’onere che stava facendo pagare al sistema e alle economie regionali era troppo elevato - noi abbiamo puntato sul modello di transhipment di Gioia Tauro che poi è esploso, per essere chiari, e lì c’è andata di mezzo la possibilità di recuperare gap tragici come sono quelli delle economie calabresi rispetto al resto del paese -. In un settore nel quale la concorrenza è durissima, non solo sui costi ma sulla qualità - i noli dipendono dalle rotte che si coprono, dal tipo di navi, dal gigantismo navale nei container che significa tutta una serie di oneri - stare sul mercato, nella posizione in cui siete voi, in realtà a cosa si deve, rispetto ai fattori che si sono molto complicati negli ultimi anni?

Stefano Messina - Innanzitutto io rappresento un’impresa il cui controllo fa capo alla nostra famiglia da quattro generazioni. Anche a causa dei fenomeni che Oscar ha descritto in maniera sintetica ma incisiva, abbiamo fatto la scelta di un’alleanza strategica. Fino a un paio di anni fa, con una famiglia che da quattro generazioni ha il 100% del capitale di un’azienda che cresce in maniera prudente e conservativa, non mi sarei immaginato in un palco a dire che facciamo un’alleanza strategica. Cos’è per noi un’alleanza strategica? Ci abbiamo riflettuto tanto: ovviamente non voglio parlare dell’operazione perché andrei fuori tema. Ma l’analisi dei fattori di produttività e di competitività ha portato noi azionisti a fare questa scelta: di avere il mantenimento e il consolidamento dell’azienza in Italia, con noi sempre come soci di controllo, e un partner multinazionale. Così da sfruttare gli elementi di produttività e di capacità, insieme alle competenze del capitale umano che gli azionisti devono motivare, selezionare e attrezzare con le leve necessarie per assumere le responsabilità decisionali. Tramite questa operazione noi abbiamo ritenuto che si potesse mantenere la competitività e la produttività in Italia.

 

E ora scendo su due elementi che spero diano un contributo al tema della giornata. A livello micro, direi che il nostro è un settore in cui l’italianità è un fenomeno di capacità competitiva. Non so se leggete in questi mesi, sui principali quotidiani, una campagna di comunicazione presente e continua di un gruppo italiano che spinge sull’utilizzo esclusivo di personale italiano sulle navi. Credo di non violare nulla ricordando che è Moby, il Gruppo Onorato Armatori. Altri operatori,  invece, utilizzano anche a bordo di navi italiane personale extracomunitario. Così il nostro settore dimostra che si può avere un’impresa competitiva in Italia anche con personale tutto italiano e con navi italiane, dove il costo del lavoro è una variabile indifferente alla competitività e produttività. Quindi, in questo il Paese, i governi precedenti hanno fatto un buon lavoro, nonostante gli ultimi dieci anni abbiano registrato una depressione sostanziale dei prezzi, non dei volumi di crescita. L’Italia è un Paese competitivo dove si può essere efficaci e capaci di generare valore utilizzando il sistema Italia con personale italiano.

A livello di infrastrutture le cose sono diverse. E’ un po’ ripetitivo, scontato, retorico dire che siamo indietro; diciamo invece che soffriamo di un gap di efficienza della pubblica amministrazione. Non è solo un problema di grandi investimenti, dragaggi dei porti, fare i retroporti e i collegamenti ferroviari; è un problema di funzionamento della pubblica amministrazione, di rapidità, di scelte. Faccio un esempio: c’è una convenzione del 2006 che regola a livello mondiale il lavoro a bordo e che si chiama Maritime Labour Convention. L’Italia è stato il 180° Paese a recepirla, a ratificarla e questo ha comportato difficoltà d’interpretazione delle normative da parte di tutti gli attori e regolatori per far navigare le navi italiane. Non voglio scendere nel dettaglio, però credo che abbiamo tanto da fare per l’efficienza della pubblica amministrazione -  un mini spot pubblicitario, non aziendale ma di settore: mi sembra che qualche cosa di positivo stia succedendo -. Vivo in una regione in cui, lasciando perdere la parte politica, si è intravista negli ultimi anni un’opportunità di crescita, di generare valore sulla filiera dell’import-export, logistica e trasporto, come valore aggiunto del manifatturiero, perché siamo il secondo Paese europeo e il settimo al mondo.

Ecco, in questi dati credo ci siano gli stimoli e le opportunità per migliorare.

Oscar Giannino - Devo dire che sono molto d’accordo perché, per esempio, era impensabile l’idea che questo Paese, pur avendo avuto nelle clausole del Trattato di Pace la facoltà di fare di Trieste un porto franco vero, dal 1948 non sia mai riuscito a farlo: per colpa sua, non perché qualcuno in Europa ce lo impedisse. Recentemente è stato possibile sanare il gap perché un paio di persone - fra l’altro una di loro è stata appena ruotata in un altro incarico - all’Agenzia delle Entrate si sono messe a recuperare le franchigie a Bruxelles e in Italia, sull’onda di quello che gli operatori, i terminalisti e le compagnie da sempre dicevano: “ma perché non la portiamo a casa questa roba qui?” Stiamo parlando di franchigie che si estendono non solo al retroporto ma a tutte le aree che verranno ricollegate al porto e sono un moltiplicatore di traffici, di crescita per le aziende italiane, attraggono investimenti.

Cose così a volte nel nostro Paese non sono avvenute pur potendo avvenire. Secondo me è proprio vero che adesso ci sia un piccolo ma significativo cambio di marcia.

 

Piercarlo Ceccarelli

Applicazione in azienda: La tanto temuta globalizzazione, che ci porta via parti rilevanti delle nostre filiere, è oggi un’opportunità. Siamo un nodo strategico dei commerci internazionali e le nostre imprese sono competitive nel rapporto tra prestazioni e costi. Ogni capo azienda ha l’obbligo di (ri)pensare alla strategia di globalizzazione.
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