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Giu 2015
Numero N. 322
Declino americano?

Ho appena terminato l'interessante lettura de I frantumi dell'America di George Packer. Il sottotitolo recita "Storie da trent'anni di declino americano" ed e' con questo spirito che l'autore ci propone la lettura di cronache economiche regionali degli Stati Uniti, dal 1978 ai giorni nostri.

Ma non e' così che io ho letto le vicende descritte. Vi ho invece visto fenomeni diversi che ci riguardano da vicino...

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Ho appena terminata l'interessante lettura de I frantumi dell'America di George Packer. Il sottotitolo recita "Storie da trent'anni di declino americano" ed e' con questo spirito che l'autore ci propone la lettura di cronache economiche regionali degli Stati Uniti, dal 1978 ai giorni nostri.

Ma non e' così che io ho letto le vicende descritte. Vi ho invece visto fenomeni diversi che ci riguardano da vicino...
 



Il giornalista del New Yorker ha vinto il National Book Award nel 2013 proprio per questo libro. Racconta storie locali che si sono sviluppate per 35 anni in Carolina del Nord, Ohio, California, Florida e nella Rust Belt.

Dalle piantagioni di tabacco, all'industria delle sigarette e quella siderurgica. La successiva deindustrializzazione ha creato disoccupazione e problemi sociali a non finire. Andamento analogo per l'industria tessile e quella mobiliera battute dalla competizione cinese. Dalle fabbriche di mattoni e cemento, al boom edilizio fino allo sboom e conseguente panico. Dai componenti per automobili allo spostamento delle fabbriche in Messico. Dalle piccole botteghe ai centri commerciali, poi chiusi quando la struttura manifatturiera ha abbandonato il terreno e le persone si sono trasferite altrove.
Attualmente si assiste all'emergere di posti di lavoro nell'estrazione del gas naturale dallo scisto, nuovi turni negli impianti di componenti per auto, perfino posti di lavoro nelle acciaierie rimodernate, oltre al continuo sviluppo di Silicon Valley - anch'esso non indolore per molti -.

Vi leggo l'evoluzione dell'imprenditoria locale, passata attraverso le varie distruzioni shumpeteriane per far posto al nuovo. Quindi la ruota del progresso in funzione, così come l'abbiamo appresa dalla storia, accelerata dall'industrializzazione che ha marciato di pari passo con l'evoluzione tecnologica.

Inoltre, nel libro emerge chiaramente la responsabilità della politica locale che gode i benefici nei momenti di benessere economico e non sa mai prevenire e smussare gli impatti della deindustrializzazione sulla società, che subisce sofferenze e grande disagio. Gli economisti li chiamano "shock asimmetrici", cioè mutamenti esogeni che hanno effetti diversi sui mercati locali. E la protezione sociale dovrebbe garantire un processo di cambiamento rapido e significativo.
Tutto sommato c'è un forte parallelo con quanto è avvenuto in Italia. Ma negli Usa le persone rimangono convinte che "se sei ricco è perché meriti di esserlo; se sei povero è perché meriti di esserlo". E che "il fallimento è un'opportunità per ripartire da zero, questa volta con più intelligenza". Così s'impegnano di più dopo le crisi.

Detto in un continente con welfare così debole come quello americano, ci fa riflettere sul perché J. Rifkin abbia scritto "Il sogno europeo".

 
Applicazione in azienda: in Europa la missione della politica è assicurare il benessere a tutti. Così l'impresa sembra nemica, un'accumulatrice di risorse. Negli Stati Uniti la missione è assicurare opportunità a tutti. Allora l'impresa è uno strumento per realizzare obiettivi collettivi. I nostri capi azienda? Espandere l'azienda oltre i confini, favorire la cultura delle opportunità, combattere l'assistenzialismo.
Parola Chiave: economia
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Risultati ad oggi
In quale fase del ciclo di vita si trova attualmente il settore in cui opera la sua azienda? (una sola risposta) (*)
0 %
Nascita
33 %
Sviluppo
67 %
Maturità
0 %
Declino
0 %
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Cosa dovrebbero fare le amministrazioni locali per smussare gli impatti negativi delle fasi di deindustrializzazione?
  • Non bisogna pensare che il futuro del nostro paese possa prescindere dalla produzione di beni e basarsi solo su idee e intuizioni. Le idee sono basilari, ma per sfamare un paese e creare posti di lavoro, occorre plasmare una strategia paese che renda competitivo produrre sul nostro territorio. Quindi il nostro sistema politico deve favorire le idee nuove – R&S e innovazione – dedicando risorse alle iniziative che produrranno il reddito di domani e, parallelamente, deve consentire di produrre con reddito in Italia e attrarre nuovi insediamenti produttivi. Chi investe oggi in un nuovo stabilimento in Italia? Nessuno e così un paese implode. Quale è l’unico paese che si è tirato fuori dalla crisi? Gli Stati Uniti, grazie da una politica che si pone come obiettivo primario di rafforzare l’economia e creare posti di lavoro agendo in modo coeso. L’Europa, di fatto ancora un territorio diviso, annaspa in azioni singole e asincrone che non generano un vero rilancio economico.
    Fabrizio Fresca Fantoni
  • I processi produttivi sono sempre più integrati globalmente: la competitività si gioca nella fase di processo produttivo (più che del prodotto) che si sa realizzare meglio all’interno delle catene globali di produzione, nelle competenze che si posseggono. Così si crea valore aggiunto, così si garantiscono profitti e retribuzioni (e pensioni adeguate … ). Le evidenze mostrano una chiara correlazione tra livello di reddito pro capite e percentuale del reddito del paese che il governo destina al sostegno della ricerca e sviluppo. Si verifica che più risorse destinate alla ricerca e sviluppo (in rapporto al Pil) producono più produttività, ossia più ricchezza per unità di lavoro nell’unità di tempo. Ecco cosa deve fare l’amministrazione pubblica per fronteggiare i processi di deindustrializzazione. Ma purtroppo da decenni i governi italiani (di ogni colore) destinano alla ricerca e sviluppo meno dei governi degli altri paesi industrializzati: la specializzazione produttiva arretra verso settori a bassa intensità tecnologica, la produttività cade, le imprese rischiano di invecchiare. Carlo Martelli
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 07/06/2015 06:13:13

Piercarlo Ceccarelli
Luigi Bignotti
E' davvero corretto, Carlo Martelli, quel che dici in materia per quanto riguarda l'italia, verso il resto del mondo. Ma, negli altri paesi industrializzati, chi investe nell'innovazione? Il privato o il pubblico? E' possibile trovare informazioni e statistiche al riguardo? Io temo che nel pubblico non ci siano risorse adeguate, a parte la ricerca puramente accedmica, per pianifcare in modo economico progetti di innovazine che poi diventino inziative industriali... a meno che il pubblico non si curi successivamente anche della iniziativa industriale. Quindi Piero Ceccarelli ci sta dicendo forse che siamo noi imprese, che non investiamo abbastaanza ? Io temo di si.... e forse questo limite deriva dal fatto che le PMI sono in netta maggioranza nel ns Paese ed una PMI non può che avere risorse (e probablimente visioni) limitate! Quindi come fare per indurre il sistema Paese, ad investire in modo efficente e sempre di più nella innovazione?