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Lug 2013
Numero n. 231
Imu e imprese. Ancora imposte indirette?

Gli immobili, da sempre, sono l’investimento preferito dagli italiani e anche il bersaglio del fisco perche' beni facilmente identificabili e, quindi, agevolmente tassabili.

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Gli immobili, da sempre, sono l’investimento preferito dagli italiani e anche il bersaglio del fisco perche' beni facilmente identificabili e, quindi, agevolmente tassabili.





Dal 1992 l’Ici comporta la tassazione degli immobili strumentali impiegati nel processo produttivo e dei beni-merce costruiti per la rivendita. Il carico fiscale risultava ancora leggero fino all’avvento, lo scorso anno, dell’Imu che incide piu’ del doppio dell’Ici.

La nuova imposta, a tutti gli effetti una patrimoniale, aggrava la tassazione sui beni strumentali delle imprese, sia mediante un aumento della base imponibile (coefficiente moltiplicatore da 50 a 60 nel 2012, 65 dal 2013, per i capannoni industriali; da 34 a 55 per i negozi e da 100 a 140 per i laboratori artigianali), sia con l’incremento delle aliquote (7,6 per mille la minima, con facolta’ dei comuni di aumentarla fino al 10,6 per mille) ed un vero e proprio salasso si registra sui beni-merce delle imprese costruttrici che trovano nell’Imu un ulteriore fattore che ne aggrava la crisi.

Nel complesso le imprese hanno contribuito, nel 2012, per 12 miliardi di euro (circa il 50%) al gettito complessivo Imu di 24,7 miliardi.

Grave elemento di estremo fastidio per le aziende e' il fatto che l’Imu non sia deducibile ne’ dall’Ires, ne’ dall’Irap e comporti una riduzione dell’utile di esercizio ed un aumento della base imponibile delle imposte dirette.

Il provvedimento di sospensione dell’Imu sulla prima casa e’ legato ad una piu’ ampia ed articolata riforma della tassazione degli immobili, da legiferare entro il 31 agosto, che dovrebbe prevedere, quantomeno, la possibilita' per le imprese di dedurre il costo Imu dalle imposte dirette, ma anche escludere dall’Imu, per un periodo di almeno 5 anni dalla loro realizzazione, gli immobili-merce invenduti (che gravano sui costruttori). Legga l’approfondimento del nostro esperto Stefano Noro.

Applicazione in azienda: esercita la massima pressione possibile perche' si autorizzi almeno la deduzione dell’Imu dalle imposte dirette
Parola Chiave: finanza
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Risultati ad oggi
Le imposte indirette applicate alle imprese prescindono dal risultato di esercizio (a cominciare dall’Irap). Questa pratica snatura la correlazione tra prelievo fiscale e creazione di ricchezza?
  • Le imposte indirette, come l'Irap, non sono in se imposte assurde, ma non hanno una buona reputazione. Generano tuttavia un gettito rilevante e quindi non possono essere semplicemente abolite. Occorre un progetto per ricondurle nell'ambito del sistema impositivo più tradizionale. Dovrebbero essere percepite su tutti i redditi: per esempio, attraverso una sovraimposta a favore delle Regioni sull'Irpef e sull'Ires. Oltretutto, il sistema fiscale italiano tornerebbe così a essere comprensibile e comparabile con quello degli altri paesi.
    Carlo Martelli
  • Il prelievo fiscale si dovrebbe applicare solo ai redditi prodotti con in aggiunta una piccola patrimoniale, ad es. 0,5% sulla ricchezza.
  • Churchill disse che una nazione che si tassa con la speranza di prosperare e' come un uomo in piedi su un secchio che pensa di sollevarsi tirando il manico. Il prelievo fiscale non ha ormai più alcuna natura di contribuzione progressiva alle spese della collettività. Irap e Imu ne sono una dimostrazione.
    Andrea Ferri
  • Si, è una imposizione che snatura il rapporto con la creazione di ricchezza, e penalizza le nostre imprese nei confronti della concorrenza estera.
    Luca Orselli
  • Certamente si snatura la tesi che il prelievo fiscale delle imprese dovrebbe essere correlato all'utile di esercizio. A cominciare dall'Irap che, addirittura, va a gravare ulteriormente sul costo del lavoro - dipendente o meno - in modo unico al mondo (solo la Francia ha l'Irap che, però, ha una base di applicazione più limitata).
    Piercarlo Ceccarelli
Come dovrebbero essere le imposte alle imprese per essere eque verso la comunita' e stimolare il rischio d’impresa?
  • Prendiamo il caso dell'Irap: la proposta (simile ad altre già avanzate, soprattutto all’interno di Confindustria) potrebbe essere quella di riportarla nell’ambito della tassazione generale dei redditi, perché essa finanzia essenzialmente un servizio universale (la sanità) attraverso la finanza regionale e dovrebbe essere percepita su tutti i redditi. Il meccanismo potrebbe essere, tutto sommato, abbastanza semplice: le imprese rivalutano le retribuzioni dei lavoratori della percentuale di Irap, che diviene così un costo deducibile dalle imposte. I lavoratori hanno un reddito più elevato, grazie a questo trasferimento, e le imprese un utile maggiore per il venir meno dell’Irap sulle altre poste del valore aggiunto. Lo Stato mette una sovraimposta a favore delle Regioni (e da esse modificabile in più o in meno) sull’Irpef e sull’Ires, tale da recuperare tutto il gettito dell’Irap. La più larga platea di imposizione dell’Irpef (che comprende tra gli altri i redditi da capitale, da pensioni e da immobili) assicura che i lavoratori e le imprese abbiano un qualche vantaggio in termini di pressione fiscale complessiva. Le Regioni gestiscono l'addizionale in relazione alle loro politiche di spesa. Gli elettori potrebbero – conseguentemente - giudicare gli amministratori regionali anche sulla base delle loro scelte fiscali, che incidono sui loro redditi. Potrebbero premiarli o punirli con il loro voto: questo è vero federalismo fiscale. Il sistema fiscale italiano tornerebbe ad essere comprensibile e comparabile con quello degli altri paesi. Vi sarebbe poi la possibilità di sostituire parte dell’Irap con qualche aumento dell’Iva, in particolare con l’accorpamento di alcune aliquote, ciò che trasferirebbe parzialmente l’Irap anche sulle importazioni, con effetti benefici sulla competitività del paese. Certo, vi sono alcuni problemi tecnici da superare e anche non trascurabili problemi di transizione, posto che possano formarsi, nell’immediato, posizioni di vantaggio e di svantaggio di cui tenere conto. Ma queste problematiche sono già state affrontate e superate con l’introduzione dell’Irap e, quindi, possono essere gestite senza eccessive difficoltà.
    Carlo Martelli
  • La fiscalità in generale ed in particolare per le imprese dovrebbe essere armonizzata almeno a livello europeo. Quelli che dovevano essere i nostri partners europei sono i nostri concorrenti e sono anche avvantaggiati da un minor carico fiscale. L'IRAP a lungo andare diverrà intollerabile.
  • I profitti delle imprese non dovrebbero essere tassati fintanto che non vengono distribuiti agli azionisti. Se reinvestiti in azienda essi si trasformano in nuova ricchezza che inevitabilmente si immette nel circuito economico stimolando consumi e crescita. L'ires, l'Irap e i perversi meccanismi di lievitazione del imponibile sono zavorre pesantissime che frenano lo sviluppo, l'occupazione, il progresso.
    Andrea Ferri
  • Dovrebbero essere correlate alla ricchezza creata ed allineate con quelle delle altre nazioni. In una economia globale, un Paese che rende diseconomico operare sul suo territorio danneggia la propria comunità: le aziende hanno interesse a trasferire all'estero le proprie attività, e quelle che restano sono gravate da oneri che impediscono la crescita e l'occupazione.
    Luca Orselli
  • La comunità che ospita l'impresa ha interesse che questa abbia successo nella competizione con altre imprese. E' l'unica condizione che permette la sostenibilità, cioè la vera convenienza per tutti i portatori d'interesse. Le imposte devono tornare sul reddito conseguito e non rendere più costosi i fattori della produzione, pena l'impossibilità di competere sui mercati.
    Piercarlo Ceccarelli
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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Giuseppe Tonutti
Giuseppe Tonutti 08/07/2013 09:36:56

Tutti concordano sul fatto che per salvare il lavoro bisogna prima mettere le imprese nelle condizioni di poterlo fare, abbassando in modo sostanzioso la pressione fiscale (costo del lavoro, IMU, ecc.). Dove trovare i soldi che verrebbero a mancare? Credo solo riducendo la spesa pubblica e combattendo l'evasione fiscale. per ridurre la spesa pubblica ci vogliono sia soluzioni a medio-lungo termine (abolizione province, fusione comuni, costi della politica, riduzione del numero dei dirigenti pubblici, ecc.), sia a breve come ad esempio il pagamento in titoli di stato di ciò che eccede i 5.000 euro netti al mese degli stipendi dei pubblici dipendenti e di ciò che eccede i 25.000 euro delle liquidazioni.

Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 08/07/2013 08:29:48

Tiriamo le fila della discussione...

Le imposte indirette applicate alle imprese prescindono dal risultato di esercizio. Ci siamo chiesti se questa pratica snatura il rapporto tra prelievo fiscale e creazione di ricchezza. I commenti prevalenti dicono di si. Penalizzando, così, le nostre aziende nei confronti della concorrenza estera. A cominciare dall'Irap che va a gravare ulteriormente sul costo del lavoro - dipendente o meno - in modo unico al mondo. Tassare beni e lavoro è in antitesi alla politica di sviluppo industriale che serve alle imprese.
Generano tuttavia un gettito rilevante e, quindi, non possono essere semplicemente abolite. Occorre un progetto per ricondurle nell'ambito del sistema impositivo più tradizionale, attraverso una sovrimposta sulle imposte dirette. Oltretutto, il sistema fiscale italiano tornerebbe così a essere comprensibile e comparabile con quello degli altri paesi.

Come organizzare le imposte alle aziende perché siano eque verso la comunita' e stimolino il rischio d’impresa? L'opinione diffusa è che la fiscalità in generale, in particolare per le aziende, dovrebbe essere armonizzata almeno a livello europeo. Oggi i nostri concorrenti sono avvantaggiati da un minor carico fiscale. In una economia globale, un paese che rende diseconomico operare sul suo territorio danneggia la propria comunità: le imprese hanno interesse a trasferire all'estero le proprie attività e quelle che restano sono gravate da oneri che impediscono la crescita e l'occupazione. Le imposte devono tornare sul reddito conseguito e non rendere più costosi i fattori della produzione. La tesi più avanzata è che i profitti delle aziende non siano tassati fintanto che non vengono distribuiti agli azionisti. Se reinvestiti in azienda essi si trasformano in nuova ricchezza che inevitabilmente si immette nel circuito economico stimolando consumi e crescita.
Le imposte indirette dovrebbero essere riportate nell’ambito della tassazione generale dei redditi e dovrebbero essere percepite su tutti i redditi. Nel caso dell'Irap ci sono meccanismi, come la rivalutazione delle retribuzioni della stessa percentuale, che permettono di rendere il costo deducibile per le imprese. Lo Stato mette una sovraimposta a favore delle Regioni (e da esse modificabile in più o in meno) sull’Irpef e sull’Ires, tale da recuperare tutto il gettito di quella imposta.

Buona settimana

Alessandro Rossi
Alessandro Rossi 01/07/2013 16:45:02

Collegandomi al punto della produttività i massimi esponenti del governo concertano sull' insostenibilità delle imposte su lavoro dipendente. Ma quanto i provvedimenti previsti potranno dare un beneficio tangibile alle imprese? La pressione fiscale ha raggiunto la quota record in Italia del 44,6% del Pil. L'imposizione fiscale dovrebbe essere coerente con gli obiettivi del paese, tassare beni e lavoro è in antitesi alla politica di sviluppo industriale che serve alle imprese.