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Giu 2018
Numero Nr. 467
La scommessa del valore aggiunto per le aziende italiane

Il punto centrale della ricerca per aumentare la produttivita’ e’ quello di concentrarsi sull’utilita’ che, messa in relazione con il prezzo, determina il valore. Si puo’ sintetizzare il concetto dicendo che, maggiore e’ il valore aggiunto prodotto in rapporto alle risorse impiegate, maggiore e’ la produttivita’.

 

In fondo tutta l’economia, certamente quella aziendale, puo’ essere riassunta in questa relazione. La produttivita’ e’ l’essenza stessa della produzione di qualsiasi prodotto e servizio e il valore aggiunto economico e’ collegato alla sua componente “utilita’” che comprende tutto quello che comporta sicurezza, salute, istruzione, benessere, valore emotivo, funzionale, economico. L’esperienza del Premio Ceccarelli ha messo in evidenza che…

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…è necessario lavorare meglio sul valore aggiunto 

L’utilità viene sempre meno misurata solo in termini di quantità e sempre più identificata anche con elementi qualitativi che rappresentano qualcosa di intangibile ma determinante perché si associa al prezzo pagato.

Possiamo riuscire in questo modo a sviluppare la nostra economia? Con lo sviluppo di nuove utilità, cioè lavorando di più sul numeratore del rapporto produttività = valore aggiunto/risorse, sono convinto di sì. E le continue analisi dei bilanci delle maggiori 5.235 società italiane, alla base del Premio Ceccarelli, lo confermano.

L’errore, che noi europei possiamo commettere, è pensare di migliorare la produttività agendo unicamente sul denominatore, cioè le risorse impiegate per realizzare l’utilità. Infatti, le economie nuove ed emergenti dispongono di risorse, specie il lavoro, a costi più bassi dei nostri. Si può tranquillamente affermare che la stragrande maggioranza della competizione che subiamo da queste economie è sul versante delle risorse.

Anche in Europa si è fatto molto sul versante risorse. Abbiamo fatto molta ginnastica: l’organizzazione del lavoro ha subito profondi cambiamenti e la relazione uomo-macchina ha aperto orizzonti fino a ieri impensabili. Perché, se non si può agire solo sul denominatore, è comunque essenziale trovare una via per l’aumento della produttività che agisca anche su questo.

Naturalmente le economie nuove si stanno dando da fare per migliorare la loro produttività, emulando i passi già percorsi in Occidente: i nostri produttori di macchine e impianti, che portano la nostra tecnologia produttiva in quei mercati, stanno agendo come promotori della competizione sul versante delle risorse, cioè assicurano in prevalenza – ma non solo - costo ridotto e qualità costante, paragonabile a quella realizzata in Occidente con le stesse attrezzature. Dunque, è chiaro che aumentare solo la qualità delle produzioni tradizionali non è sufficiente.

 

La strade per aumentare il valore aggiunto

Ritorniamo allora alla necessità di trovare nuove utilità e di capire come si aumenta il valore aggiunto in un ambiente fortemente competitivo? Ci sono alcune alternative.

La prima è quella di aumentare le economie di scala e di scopo attraverso aggregazioni o acquisizioni che favoriscano un consolidamento del settore, a livello nazionale e transnazionale.

Seconda alternativa: avvicinare i punti di produzione ai punti di consumo per ridurre l’incidenza dei costi di trasporto.

Terza alternativa: innovare in modo radicale il processo in modo da ottenere livelli di costo ampiamente inferiori pur mantenendo i medesimi livelli di utilità.

Quarta alternativa: aumentare le utilità prodotte cambiando la natura di quelle già offerte o aggiungendone di nuove e agendo sul valore aggiunto.

È evidente che la prima e la seconda alternativa richiedono un investimento consistente per assorbire i concorrenti e/o delocalizzare le produzioni, strada che è stata spesso percorsa negli ultimi vent’anni da aziende europee che hanno internazionalizzato la loro presenza, al limite sacrificando una parte della loro produzione domestica con i risultati, positivi e negativi, che ben conosciamo.

Sono evidentemente la terza e la quarta alternativa a rappresentare la strada maestra per continuare ad avere un’industria competitiva anche in Italia. Ciò non toglie che le prime due siano mosse utili quando si verifichino le condizioni perché funzionino, anzi sono personalmente un forte promotore della prima alternativa per colmare il gap dimensionale delle aziende nostrane promuovendone aggregazioni e acquisizioni.

Ma è solo con la terza e la quarta alternativa, con la loro innovazione radicale, che si abbandonano gli oceani rossi per entrare in quelli blu.

La strada della creatività e del mercato

Già agli inizi dell’Ottocento David Ricardo spiegava che, nel commercio internazionale, ciascun paese si specializza nella produzione di beni su cui ha un vantaggio comparato, cioè la cui produzione ha un costo-opportunità, in termini di altri beni, minore che negli altri paesi. Noi abbiamo interesse ad acquistare dai cinesi ciò che a loro costa meno (e costerebbe di più produrre in Italia) e vendere loro ciò su cui abbiamo vantaggi proprio perché il nostro mercato è più maturo e più disponibile ad apprezzare, e prezzare, le nuove utilità.

Le forze della globalizzazione sono difficilmente ostacolabili e il modello teorico perfetto è quello in cui ogni paese produce per tutti gli altri i prodotti nei quali ha vantaggi: oggi il cinese benestante beve vino francese, veste italiano, fuma sigari cubani, guida Mercedes o Ferrari. Nella realtà ci sono interferenze di cui tener conto ma che non minano il ragionamento di fondo. Insomma, i moduli fotovoltaici vengano pure dalla Cina ma i tetti della nostre case, ecosostenibili e multifunzionali facciamoli in Europa!

Allora come si salva l’industria europea dalla marea montante dell’industria dei paesi in via di sviluppo? Molte aziende europee, soprattutto quelle di commodity, devono percorrere la strada dell’aggregazione e del consolidamento in alternativa a forti innovazioni di processo o alla chiusura. Quelle di dimensioni minori – quasi sempre impossibilitate a innescare una forte discontinuità per problemi di management e di investimenti – devono agevolare l’aggregazione e lo sviluppo delle competenze, magari mettendosi alla prova sui mercati internazionali iniziando dai più semplici da affrontare.

 

Gli animal spirits sviluppano le nuove utilità

Invece, le altre aziende, le medie imprese che sono l’ossatura del sistema industriale italiano, potranno sviluppare nuove utilità, se lo vorranno e se ne saranno in grado. Oltre a quelle di maggiore taglia, anche quelle che operano nei settori più avanzati della conoscenza o quelle guidate da forti imprenditori, capaci di visione. 

 Non credo che il problema sia di contrapporre le aziende a controllo familiare a quelle ad azionariato diffuso, come è stato ripetuto (spesso a sproposito) per anni.

Al contrario, l’ottica di breve periodo delle public company (realizzare utili per l’esercizio in corso se non addirittura per il trimestre) cozza sovente con la possibilità di progettare e sperimentare nuove utilità quando i tempi di ritorno dell’investimento non siano di breve termine. E’ ancora più vero in un momento di trasformazione profonda, indotta dalla recente crisi, di ristrutturazione del modello di business, resa necessaria dalle mutate condizioni di mercato: il tentativo di spremere l’azienda nel breve periodo, senza una progettualità di ampio respiro, ha finito per farla affondare definitivamente, mentre più coraggio nel tuffarsi nel cambiamento può creare le condizioni per riprendere a navigare con successo.

È evidente che un’azienda famigliare ha meno fretta di far fruttare il capitale di quanto non ne abbia un’azienda che deve remunerare con continuità un capitale diffuso. Ma i sistemi aziendali a controllo familiare devono superare la gestione familiare: se non sono capaci di aprirsi a un apporto manageriale qualificato, cioè accogliere idee e persone al vertice esterne alla famiglia, rischiano di ripiegarsi su se stessi e di non trovare la strada del successo sul mercato.

Le ricerche per il Premio Ceccarelli offrono una forte base quantitativa a favore della tesi che suggerisce a queste imprese di lavorare di più sul numeratore del rapporto produttività = valore aggiunto/risorse.

Andrea Ferri

 

Applicazione in azienda: Si assicuri che nella sua azienda sia ben chiaro il rapporto utilità prodotta/risorse impiegate di tutta l’offerta di prodotti e servizi. Formuli quindi un benchmark competitivo ben dettagliato che mostri le forze o le debolezze rispetto ai concorrenti in ciascuno degli elementi che compongono l’utilità per i clienti rispetto ai costi sostenuti dall’azienda. Avrà una chiara mappa in termini competitivi di ciò che aggiunge valore e di ciò che lo distrugge nella sua offerta.
Parola Chiave: strategia
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