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Apr 2014
Numero n. 269
Non ci voleva proprio la deflazione...

E’ arrivata. L’aspettavamo da qualche tempo. Dopo Grecia e Spagna, lo spettro della deflazione incombe sull’Italia e sull’Europa. Il taglio del tasso di riferimento da parte della Bce ha portato all’attenzione di tutti il problema.

Non e' la grande depressione degli anni Trenta, anche per la presenza di valvole di sicurezza sociale. Ma il margine d’intervento dei governi e' molto piu' risicato, per l’elevato peso della spesa pubblica. Cosa fare?

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E’ arrivata. L’aspettavamo da qualche tempo. Dopo Grecia e Spagna, lo spettro della deflazione incombe sull’Italia e sull’Europa. Il taglio del tasso di riferimento da parte della Bce ha portato all’attenzione di tutti il problema.

Non e' la grande depressione degli anni Trenta, anche per la presenza di valvole di sicurezza sociale. Ma il margine d’intervento dei governi e' molto piu' risicato, per l’elevato peso della spesa pubblica. Cosa fare?



L'obiettivo ufficiale e' avere un'inflazione vicina al 2% annuo. Il calo dei prezzi, quando e' dovuto ad un aumento della produttivita' e della concorrenza, e' virtuoso. Lo e' molto meno, quando e' legato al calo dei consumi e della domanda. In questo caso e' segno di un’economia che ristagna o regredisce. Significa che la ripresa e' molto fragile e che rischiamo di ricadere nella recessione in assenza di misure adeguate.

Nel secondo dopoguerra, solo l’economia giapponese ha vissuto un prolungato periodo di deflazione. Tra il 1990 e il 2012 in Giappone i prezzi al consumo sono scesi del 12%. Ma, nello stesso arco temporale, il Pil e' salito complessivamente del 22%. Quella giapponese e' stata una deflazione senza depressione, con conseguenze sociali molto inferiori rispetto a quelle della Grande Depressione americana.

E’ stato per paura della deflazione che le banche centrali, dopo aver azzerato i tassi, hanno continuato a riempire di liquidita' l’economia mondiale, in forme non convenzionali. Come l’acquisto di titoli pubblici e privati a piu' lunga scadenza, in modo da sostenere il corso dei mercati obbligazionari. Con il pericolo di alimentare nuove bolle sui mercati finanziari.
Sostenere di piu'? Il debito pubblico mondiale e' ai livelli massimi raggiunti in tempo di pace, gia' salito di circa 30 punti percentuali negli ultimi 5 anni.

Proprio la presenza del welfare, cioe' di valvole di sicurezza sociale, ha stavolta evitato che le tendenze deflative del ventunesimo secolo dessero luogo a qualcosa di simile a quanto successo negli anni Trenta. Ma l’elevato peso della spesa pubblica (e del debito pubblico) ha anche reso il margine sostenibile d’intervento dei governi molto piu' risicato.

E cosi' ci si e' affidati - ed ancora oggi ci si affida - esclusivamente alla politica delle banche centrali, la cui efficacia anti-deflazione e' molto piu' limitata. In assenza di un supporto fiscale, oggi impossibile o almeno poco desiderabile.

Inutile negarlo! Scampare la deflazione degli anni Dieci non sara' un’impresa facile.

Applicazione in azienda: rafforza il posizionamento strategico della tua azienda, l’unica arma per la sostenibilita' delle prestazioni, qualunque sia l’andamento dei prezzi
Parola Chiave: economia
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Risultati ad oggi
Per fronteggiare al meglio le sfide che la crisi prospetta, quali gli interventi che lei auspica da parte del governo italiano? (max due risposte, grazie) (*)
63 %
favorire la crescita della domanda interna, ricorrendo alla leva fiscale
75 %
rendere piu' flessibile il mercato del lavoro
38 %
liberalizzare maggiormente i servizi
0 %
spostare risorse a sostegno delle imprese, drenandole dal sistema di welfare
13 %
coordinare meglio gli interventi con gli altri Stati dell’Unione
13 %
mantenere un profilo d’intervento fortemente autonomo ed indipendente dal resto dell’Unione
0 %
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Come giudica la forza del posizionamento strategico della sua azienda nei mercati piu' importanti per il suo settore d’attivita'?
0 %
molto debole
13 %
debole
75 %
media
13 %
forte
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molto forte
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Qual e' la sua opinione sull’attuale situazione economica italiana?
  • Priorità crescere! Come? Ridando competitività alle imprese italiane. Si deve decidere il modello di sviluppo che l’Italia vuole perseguire nei prossimi anni. La Germania lo ha definito, perseguito con rigore e oggi sta raccogliendo i successi: competere su prodotti ad alto valore aggiunto che creano utilità superiori e nuove! Una crescita sostenuta da politiche favorevoli su lavoro e finanziamenti alle imprese. L'Italia può ripartire ma con nuove regole del gioco che permettano alle nostre imprese di essere più competitive: risolvere i problemi della corruzione, ridurre l’evasione fiscale, aumentare la certezza del diritto, aumentare la flessibilità del mercato del lavoro e abbattere le barriere burocratiche. Tutti fattori che comportano costi eccessivi alle imprese italiane e limitano alle imprese straniere di investire in Italia. Il governo deve sostenere la ripresa degli investimenti privati, promuovendo nuove forme di finanziamento a sostegno di progetti di sviluppo dei settori a maggiore potenziale e delle imprese più virtuose. Le imprese, d’altro canto, devono ritrovare la fiducia e correggere la loro percezione del rischio e delle opportunità.
    Benedetta Ragazzola
  • C'è una pausa di crescita sui mercati principali. La risposta dei governi è ulteriore stimolo monetario che ha un modesto impatto sull'economia reale e aumenta i prezzi degli asset erodendo così la qualità/finanziabilità dei debiti sovrani. Attenzione all'Ucraina!
  • La situazione economia del nostro paese non è molto diversa dagli altri stati membri dell'Unione. A nostro vantaggio abbiamo un indebitamento privato contenuto che dovrebbe rimettere in moto i consumi interni più rapidamente una volta che le famiglie acquistano più fiducia rispetto agli scenari futuri. A nostro svantaggio abbiamo una inadeguata produttività del sistema privato (aziende mediamente piccole e sotto-capitalizzate) e una scarsissima produttività di quello pubblico (elevati costi della pubblica amministrazione, servizi inadeguati, burocrazia paralizzante). Rimango tuttavia convinto che la vera riforma da realizzare sia quella della giustizia e della sua amministrazione. La difficoltà di fare valere i propri diritti, di proteggere i propri investimenti, di rischiare anche assumendo nuovi lavoratori, nel difendere la proprietà intellettuale, è un deterrente terribile che paralizza l'impresa e l'energia che serve per il rilancio. L'UPI (unione petrolieri italiana) stima che oltre il 10% dei carburanti immessi al consumo siano di contrabbando, con un'evasione di oltre 3 miliardi di accisa, un pezzo rilevante di una finanziaria. Ogni anno! Recenti testimonianze a talk show nazionali hanno portato l'attenzione alla barbara pratica della retrocessione di una parte dello stipendio al datore di lavoro per assicurarsi il posto. Un'usanza aberrante, che viola la dignità dell'uomo. Eppure ne sono vittima migliaia di lavoratori. In Italia, in Europa, nel 2014! Come possiamo accettare tutto questo? Chapter 11 negli USA consente all'imprenditore di transare con i creditori, di riabilitarsi e ripartire per rimettere in moto l'azienda libero di riconquistarsi la fiducia dei creditori. Ma se quell'imprenditore omette il versamento di anche poche migliaia di dollari di imposte federali paga con la sua libertà personale. In Italia, dalla riforma del diritto fallimentare, assistiamo al facile abuso dei concordati in bianco, anticamera del probabile fallimento e strumento di distorsione della competizione e delle regole del mercato. Serve una politica monetaria espansiva che mantenga liquido il sistema, ma serve una rivoluzione dal lato dell'amministrazione della giustizia che assicuri che le risorse siano impiegate in modo efficiente.
    Andrea Ferri
  • L'economia della zona euro è sulla via della ripresa da inizio anno, sostenuta dalla politica espansiva della Bce e dalla domanda esterna. Anche in Italia, dopo tante false partenze, i dati sugli ordini industriali confermano l’avvio della ripresa, soprattutto per le imprese che vendono all’estero. Il timore è che, come nel 2010, si tratti di una ripresa che divide in due le imprese italiane, tra il gruppo di quelle che vendono all’estero e quelle che lavorano sull’interno. Gli ordini esteri sono infatti già ora ritornati al di sopra dei livelli di maggio 2011, avviandosi a raggiungere il livello record pre-crisi del febbraio 2008. Gli ordini nazionali, invece, sono sì significativamente in crescita, ma risultano inferiori del 15 per cento rispetto alla metà del 2011 e addirittura del 35 per cento rispetto ai valori pre-crisi. Le differenze tra ordini esteri e nazionali hanno un significato: vogliono dire che probabilmente le aziende italiane attive sui mercati globali si sono già abituate al nuovo regime di non crescita o crescita lenta dell’Europa e di crescita rallentata nei paesi emergenti, riorientando i loro sforzi verso i mercati che continuano a crescere: Russia, Est Europa, Medio Oriente, nord Africa e, prima di tutto, Stati Uniti che – spinti dal calo della disoccupazione e dalla ripresa del mercato immobiliare – hanno ripreso ad essere la locomotiva che traina l’economia mondiale: esattamente nella stessa direzione, peraltro, si stanno muovendo le aziende tedesche. Vuol dire anche, però, che i progressi sul mercato del lavoro derivanti dalla crescita saranno lenti ad arrivare, perché le aziende globali hanno sempre più bisogno di delocalizzare segmenti di produzione e fornitori e quindi finiscono per creare meno occupazione in casa.
 Risulta, in definitiva, concreto il rischio di una “crescita senza occupazione”: una ripresa che rischia di creare pochi posti di lavoro e, tra l’altro, solo a fine 2014, dato che l’occupazione risponde con un ritardo di circa sei mesi al miglioramento dei fatturati. La lunga recessione lascia un segno drammatico nell’economia e nella società italiane: il Pil è oggi a meno 9 per cento rispetto al suo livello di fine 2007, mentre il numero dei disoccupati è raddoppiato a 3,2 milioni. Per evitare che la recessione sociale oggi in corso prosegua nonostante i primi fragili barlumi di ripresa economica, è indispensabile focalizzare la mano visibile dello Stato concentrandola nel saldare in fretta una buona parte dei debiti della pubblica amministrazione, nel riportare il credito alle aziende offrendo garanzie sui prestiti bancari deteriorati e nell’indicare un percorso di riduzione delle regole e del peso fiscale sul lavoro.
    Carlo Martelli
  • a mio avviso la scarsa flessibilità del lavoro in entrata e la rigidità in quello in uscita (pensionamenti) hanno determinato un divario generazionale senza precedenti. A questo dobbiamo aggiungere che la precarietà del lavoro è salita e la disoccupazione giovanile insostenibile. Ricette? più flessibilità in ingresso/uscita per lavoratori e aziende. Nel medio periodo ne beneficeremo tutti!
    corrado speroni
  • La situazione attuale impone una sola priorità: la crescita. La crescita risulta possibile puntando su nuovi mercati in crescita o sullo stimolo dei consumi interni attraverso sgravi fiscali e minori costi del lavoro. Il focus assoluto sul debito pubblico è fuorviante: meglio un debito più elevato con un paese in crescita di un debito più ridotto con crescita nulla/negativa. La crescita alimenta la fiducia dei finanziatori del debito.
    Fabrizio Fresca Fantoni
  • La situazione economica in Italia richiede riforme strutturali urgenti: nuove politiche per il lavoro, investimenti mirati in infrastrutture strategiche, sostegno alle famiglie ed ai consumi interni, interventi sul carico fiscale delle imprese per renderle più competitive.
    Calogero Immordino
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 05/05/2014 10:24:30

Tiriamo le fila della discussione...

I segnali di deflazione non sembrano cambiare le ricette che abbiamo condiviso nell'ultimo periodo. L'opinione condivisa, sull’attuale situazione economica italiana, rimane l'impellente necessità' della crescita. Meglio un debito più elevato con un paese in crescita rispetto a un debito più ridotto con crescita nulla/negativa. 7 risposte su 10 esprimono questo concetto e vedono la leva principale nel rendere più flessibile il mercato del lavoro.

Gli ordini esteri si avviano a raggiungere il livello pre-crisi del febbraio 2008. Gli ordini nazionali, pur in crescita, risultano inferiori del 35 per cento rispetto ai valori pre-crisi. La situazione economica del nostro paese non è molto diversa dagli altri stati membri dell'Unione (esclusi quelli nordici). A nostro vantaggio abbiamo un indebitamento privato contenuto che dovrebbe rimettere in moto i consumi interni più rapidamente una volta acquisita fiducia sul futuro. A nostro svantaggio abbiamo una produttività modesta del sistema privato sbilanciato verso le piccole aziende (9 aziende su 10 giudicano solo media la forza del loro posizionamento competitivo, l'indicatore più significativo per la loro ripresa). E una scarsissima produttività di quello pubblico (elevati costi della pubblica amministrazione, servizi inadeguati, burocrazia paralizzante).

Serve una politica monetaria espansiva che mantenga liquido il sistema, ma anche una rivoluzione dal lato dell'amministrazione pubblica che assicuri che le risorse siano impiegate in modo efficiente.