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Apr 2015
Numero N. 316
Rilancio delle aziende italiane? Ecco le nostre debolezze

Ci sono segnali concreti che qualcosa sta cambiando nell'attuale scenario economico ed e' tempo di accelerare le iniziative per il rilancio delle nostre imprese dopo sette anni particolarmente difficili.

Ci sono svantaggi-Paese che dobbiamo subire ma ci sono anche debolezze strutturali, tipiche delle nostre aziende. Dobbiamo convertire l'energia, dispersa per giustificare la stagnazione aziendale, in energia positiva, rivolta a rilanciare l'impresa e farla crescere in una dimensione competitiva. Ecco le sette debolezze più dannose.

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Ci sono segnali concreti che qualcosa sta cambiando nell'attuale scenario economico ed e' tempo di accelerare le iniziative per il rilancio delle nostre imprese dopo sette anni particolarmente difficili.

Ci sono svantaggi-Paese che dobbiamo subire ma ci sono anche debolezze strutturali, tipiche delle nostre aziende. Dobbiamo convertire l'energia, dispersa per giustificare la stagnazione aziendale, in energia positiva, rivolta a rilanciare l'impresa e farla crescere in una dimensione competitiva. Ecco le sette debolezze più dannose.



La crescita, leva competitiva ineludibile, permette le econome di scala e di scopo senza le quali il ritorno sulle risorse impiegate non è soddisfacente, facendoci così mancare nuova linfa per cogliere le opportunità. Siamo paghi dei nostri risultati quando questi raggiungono livelli coerenti con il contesto locale, nazionale. Basterebbe alzare la testa e volgere lo sguardo oltre l'ombra del campanile per vedere che l'oceano blu esiste. Ci poniamo dei limiti troppo stringenti di visione e ambizione imprenditoriale.

L'innovazione a tutto tondo: quella strategica delle alleanze, quella organizzativa che migliora la produttività del lavoro dirigente e operativo, quella tecnologica e di marketing che permette d'incorporare nuove funzioni di prodotto e servizio da includere nell'offerta.

L'appartenenza all'Europa offre molti aspetti positivi. In particolare un grande mercato con al centro il cliente/consumatore più sofisticato del mondo, aperto ad innovazioni che altrove non possono essere neppure concepite. Permettendo così vantaggi difendibili ai nostri pionieri.

La capacità organizzativa si esprime efficacemente in Italia finché la dimensione rimane piccola. Oltre, siamo meno efficaci dei manager americani, tedeschi, giapponesi... che semplicemente pongono l'asticella della complessità più in alto di noi.

La difesa del core business, dal quale ci lasciamo sviare facilmente, è centrale per la produttività complessiva. Distraiamo risorse, finanziarie e umane, per avventurarci in percorsi che appaiono più interessanti. Ma nella maggioranza dei casi non lo sono. La cultura manageriale non ci aiuta.


La governance è un potente strumento per portare al vertice una dialettica costruttiva. E' indispensabile che tutti gli attori possano porre "le domande difficili" e non allinearsi passivamente. Ci sono troppi manager e consiglieri d'amministrazione membri della famiglia, la cui professionalità e indipendenza di giudizio sono sovente inadeguate.

Infine a cultura finanziaria. E' troppo recente, entrata tardi nelle nostre aziende. Così abbiamo difficoltà ad essere propensi, quindi capaci, di sfruttare al meglio le opportunità che ci offre. Non ci piace mischiare l'industria con la finanza (neppure quella buona).

Quando l'imprenditore e il vertice d'impresa allargano gli orizzonti, intraprendono nuove strade, costruiscono una squadra di manager professionali e utilizzano le leve corrette, i risultati arrivano!

Applicazione in azienda: l'applicazione in azienda comporta concentrare gli sforzi sulle leve che possiamo adoperare e che portano i veri cambiamenti. La governance strategica, cioè l'insieme degli organi e delle regole che assicurano la corretta gestione, deve essere operativa con ritmi di lavoro serrati per predisporre i piani di business, adeguare l'organizzazione ed esercitare un'efficace azione d'indirizzo.
Parola Chiave: general management
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Per approfondire: N. 302 - n. 224
Risultati ad oggi
Quali sono, secondo lei, le 3 principali debolezze tra quelle indicate? (*)
29 %
Crescita
57 %
Innovazione
0 %
Europa
57 %
Organizzazione
71 %
Cultura manageriale
43 %
Governance
29 %
Cultura finanziaria
0 %
Altro (specifichi nello spazio riservato ai commenti)
Quali altre debolezze ritiene caratterizzino le aziende italiane?
  • A parte casi eccellenti, spesso le imprese italiane non seguono strategie di crescita discontinua che richiederebbero risorse finanziarie superiori a quelle a disposizione. Eppure la situazione attuale offre grandi opportunità di reperire capitale a basso costo oppure stringere alleanze. E' necessario un salto nella cultura imprenditoriale, che deve prendere in considerazione nuovi assetti societari utili allo sviluppo e definire piani industriali attraenti per gli investitori.
    Luca Orselli
  • Una cultura veramente orientata al mercato ed al valore per i clienti basata su una conoscenza sistematica dei mercati di sbocco e delle loro aspettative. Saper fare e saper produrre non basta, occorre sviluppare prodotti in funzione del mercato servito aggiornandoli e rivitalizzandoli evitando di perdere opportunità a favore di nuovi entranti e concorrenti.
    Fabrizio Fresca Fantoni
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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21/04/2015 08:15:15

Lo scenario economico italiano è stato caratterizzato, nell’ultimo decennio, da
una dinamica di crescita complessiva (in termini reali) del Pil che è stata la più lenta tra tutte quelle dei paesi europei: il differenziale negativo di crescita del nostro Paese si è manifestato sia nella fase pre-crisi (2000-2007) sia, soprattutto, in quella
recessiva (2008-2012). Basti pensare che tra il 2008 e il 2012 è stato perso oltre l’80% della crescita realizzata dal 2000 al 2007! E’ la riduzione di crescita più elevata tra tutti i paesi comunitari. Nel contempo, la frazione dell’Italia sulle esportazioni mondiali è diminuita, passando dal 4% del 2003 al 2,7% del 2012. Questa flessione è verificata anche dall’incidenza dell’export italiano su quello complessivo dei paesi dell’area Euro, calata dal 12,1% all’11,3%. L’export italiano perde quote di mercato anche sui mercati più dinamici: in Cina la quota dell’Italia è passata dall’1,2% allo 0,8%; in India dal 2,2% all’1%; in Brasile dal 3,8% al 2,7%. Questa Caporetto della competitività italiana ha avuto molteplici cause strutturali: aspetti dimensionali, di specializzazione, di governance delle imprese, di costo, di contesto socio-economico e normativo, di efficienza del “sistema-paese”, tutte però caratterizzate da un denominatore comune: una prolungata stagnazione della produttività. Durante gli anni Novanta, la produttività delle aziende italiane cresceva ad un tasso medio annuo paragonabile a quelle delle principali economie comunitarie (1,7%, contro il 2% di Francia e Germania e il 2,5% del Regno Unito); nel decennio successivo, la produttività del lavoro italiana cresce solo dell’1%, meno della metà delle maggiori economie europee (per non parlare di quelle nordamericane): un vero e proprio “decennio perduto” in termini di crescita della produttività del lavoro. Carlo Martelli

---non e´ una domanda--- sono un lazzarone che riceve tutte le vostr mail e non risponde mai--- ma adesso che vi ho visto tutti e due.... bei tempi andati! saluti da Wiesbaden! Ciao, Paolo Maggi