Milano, 16 marzo 2015. Oggi voglio fermare il tempo per qualche minuto. Voglio scattare una foto dello stivale e analizzarlo con lei sotto una visione un po’ diversa, piu' sociologica magari.
Cosa osserviamo?
Le grandi aziende hanno reagito all'aumento vistoso della concorrenza delle nuove economie - capace di praticare prezzi inavvicinabili - delocalizzando la produzione dove i costi sono piu' convenienti. Inoltre l'hanno standardizzata per creare forti economie di scala. Mi chiedo se inseguendo i grandi mercati di massa, stiano trascurando proprio i segmenti alti e colti?
Per contro, le imprese significative hanno visto aumentare la concorrenza ma non hanno saputo, alcune non hanno addirittura potuto, reagire con le stesse leve. Molte hanno solo sofferto. Quali sono oggi le loro prospettive? Come sfruttare questo periodo aureo dell'italianita'?
Milano, 16 marzo 2015. Oggi voglio fermare il tempo per qualche minuto. Voglio scattare una foto dello stivale e analizzarlo con lei sotto una visione un po’ diversa, piu' sociologica magari.
Cosa osserviamo?
Le grandi aziende hanno reagito all’aumento vistoso della concorrenza delle nuove economie - capace di praticare prezzi inavvicinabili - delocalizzando la produzione dove i costi sono piu’ convenienti. Inoltre l’hanno standardizzata per creare forti economie di scala. Mi chiedo se inseguendo i grandi mercati di massa, stiano trascurando proprio i segmenti alti e colti?
Per contro, le imprese significative hanno visto aumentare la concorrenza ma non hanno saputo, alcune non hanno addirittura potuto, reagire con le stesse leve. Molte hanno solo sofferto. Quali sono oggi le loro prospettive? Come sfruttare questo periodo aureo dell’italianita'?
Per trovare valide e veloci vie di uscita dalla situazione di stallo attuale, il sociologo Remo Lucchi ci invita a tenere conto del contesto in cui ci troviamo.
Tre le grandi novita':
1. Nel mondo occidentale evoluto si e' molto indebolita la classe media.
2. La gente ha nuova capacita' critica e sensibilita' sociale, soprattutto i giovani adulti.
3. Il consumatore pretende attenzione come individuo.
Visione condivisibile. Allora quale strategia per l’azienda?
L’impresa italiana opera bene, dal Rinascimento in poi, puntando sulla cultura. Impiega ingredienti di ottima qualita' e li trasforma con processi elaborati che assicurano la distintivita' del prodotto finale. Due condizioni necessarie per il successo prima della crisi.
Oggi non basta! Deve impegnarsi su altre due sfide nelle quali e', invece, carente.
Evolvere, rigenerarsi per adattarsi al nuovo contesto. L’azienda deve puntare alla crescita dimensionale.
Per avere piu' massa e assumere una visione piu' ampia e di lungo periodo, deve aggiungere alle buone competenze tecniche, di cui gia' dispone, quelle manageriali che scarseggiano. Con queste deve dilatare i mercati serviti, sviluppare e ampliare i prodotti, attrarre risorse, non solo finanziarie.
La strada piu' concreta per procedere in questo cammino e' sovente quella d’individuare partner con i quali allearsi, unendo le forze per poi puntare alla fusione.
Creare le relazioni positive che il mercato chiede. Partendo da notorieta' e immagine. Agire per aggiungere la vicinanza emotiva, l’empatia, l’attrattivita', la desiderabilita'. Con un legame, una relazione intensa capace di superare l’attenzione al cliente, come consumatore, per mostrare quella rivolta all’individuo. Che cerca benessere e crede in chi di professione produce ricchezza e lavoro per la societa'.
La sua azienda si ritrova in questi valori che ci sono riconosciuti?
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L’italianità è sempre stata sinonimo di una pregevole artigianalità fatta di idee, design, materiali di qualità, produzione accurata. Su questa artigianalità dobbiamo far leva valorizzandola e facendo il grande salto che dia risonanza mondiale a questo patrimonio. Come? Non limitandosi a pensare, ingegnerizzare e produrre, ma dedicandosi agli aspetti su cui siamo stati tradizionalmente più deboli: fare marketing efficace a livello mondiale. Sovente il grande sforzo aziendale dietro ad un prodotto si esaurisce con l’uscita del prodotto finito: l’investire nel valorizzare, comunicare e proporre il prodotto a livello mondiale viene visto quasi come un aspetto “noioso”, di scarso valore aggiunto, “tanto un prodotto valido si vende”. La stessa “ingegneria” che va nel concepire e creare un prodotto va spesa nel portarlo sul mercato. Accoppiare ingegneria di prodotto e ingegneria di mercato porta a risultati straordinari che vediamo nei casi italiani di successo capaci di calamitare l’attenzione a livello mondiale e di avere un vissuto di marchio veramente globale. Questi casi sono ancora troppo pochi: non bisogna avere paura di fare il salto, farlo non vuol dire tradire l’artigianalità bensì esaltarla!
Fabrizio Fresca Fantoni
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Stefano Colombo
Imprenditore / CEO presso Micronfilter
L'Italia, pur nel suo frammentato, caotico, variegato e spesso artigianale tessuto industriale, non ha mai mancato di competere con i maggiori player a livello mondiale. A volte non ci siamo riusciti da soli, "ci hanno dovuto comprare", come spesso si è sentito dire; ma poi che importa, quando alla fine chi ti compra lo fa perché è quel brand creato da te, che si vende!
Non siamo un Paese GLOBALE, non siamo un Paese che fa "SISTEMA", non abbiamo la vocazione a consorziarci per creare economie di scala o sinergie. Non l'avremmo per i prossimi cento anni, tanto quanto, forse, ci servirà come ITALIANI per costruirci un patrimonio di RISPETTO delle regole, degli altri, del nostro Paese, delle LEGGI, degli OBBLIGHI e dei DOVERI.
La dotazione più poderosa al mondo di bellezze naturali, artistiche, storiche, eno-gastronomiche, ma anche la capacità di sviluppare tecnologia e processi industriali di altissimo livello, sono una fionda col l'elastico teso che lancerebbe da solo il nostro Paese al top delle classifiche in tantissimi ambiti. Negli anni 60 gli ITALIANI ci avevano messo un bel sasso, dando vita a una delle economie più belle e vivaci de Pianeta e creando quella ITALIANITA' di cui ancora oggi si vagheggia. Dopo mezzo secolo abbondante di sfaceli, errori, politiche industriali, infrastrutturali e del territorio demenziali, non è facile risolvere tutto cercando di vendere all'estero, o per lo meno è un palliativo temporaneo. La vera internazionalizzazione avviene anche attraverso l'occhio di chi ci guarda da fuori e decide di venire a fare affari con noi.
Prima di diventare GLOBALI, dobbiamo diventare ITALIANI. Cominciando a RISPETTARE noi stessi, gli altri, la Cosa Pubblica, le Leggi e far crescere una coscienza collettiva che si esporti da sola, insieme a tutto il bello che facciamo.
MA DA QUANTO TEMPO L'ITALIA, a parte un manipolo di suoi imperterriti imprenditori visionari,HA SMESSO DI DISTINGUERSI PER FARE COSE BELLE?
Il futuro dell’industria italiana è sempre più guidato dalla capacità di internazionalizzazione delle nostre aziende: siamo troppo piccoli e la sola creatività non basta. E’ arrivato il momento di crescere: globali sono i concorrenti, i mercati dei fattori della produzione, i mercati finanziari, il mercato dei talenti. E globali devono essere le risposte, le opportunità che dobbiamo cogliere, gli strumenti che dobbiamo utilizzare. Viviamo in un mercato troppo piccolo e la taglia delle nostre imprese si è stabilizzata di conseguenza. A fronte di un mercato domestico sempre più contratto, l’unica alternativa concreta per la crescita è appunto l’internazionalizzazione: conseguita tramite accordi con distributori locali, piuttosto che con lo sviluppo di reti di vendita proprietarie, oltre naturalmente alla soluzione di acquisizione di aziende straniere, a patto di averne la capacità finanziaria. Carlo Martelli