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Apr 2010
Numero N. 86
Incentivi, si! Più equi e di minore durata
Gli incentivi del governo a sostegno dei consumi: si tratta di poche risorse, spalmate in un lungo periodo e con criteri di assegnazione poco trasparenti. 300 milioni di veri e propri incentivi temporanei all'acquisto di una varietà di beni di consumo durevole e di 120 milioni di sgravi fiscali per la cantieristica e per il settore tessile. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli di attuazione e c’è il pericolo di oscurare i sia pur piccoli benefici.

Perché incentivare i consumi? L’economia italiana viene da un anno di grave crisi che ha visto diminuire la capacità produttiva manifatturiera utilizzata di dieci punti percentuali, dal 76,7 per cento del primo trimestre 2008 al 66,7 per cento nel primo trimestre 2010. Oggi l’economia italiana soffre di scarsità di domanda aggregata e, quindi, come si fa ad aumentarla? Forse dalla domanda estera, se l’economia mondiale si riprendesse, ma gli eventi globali sono esogeni, anche per Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Quindi rimane la domanda interna, la cui voce principale sono i consumi delle famiglie. I consumi oggi mostrano una dinamica fiacca sia perché il clima di crisi fa rimandare gli acquisti non indispensabili sia perché la disoccupazione è salita. Dal settembre 2009 la disoccupazione ha superato le due milioni e centocinquantamila unità, pari all’8,6 per cento della forza lavoro, e la legge di Okun ci ricorda che la disoccupazione continuerà ad aumentare, fino a stabilizzarsi intorno al 9-9,5 per cento verso la metà del 2010 quando, se la crescita del Pil sarà superiore all’1 per cento, la disoccupazione dovrebbe calare gradualmente. Il problema è, dunque, quello di incentivare i consumi da qui ad allora, per evitare licenziamenti e chiusure aziendali non necessarie.

Come si incentivano i consumi? Non con riduzioni di imposte ma con incentivi temporanei e diretti agli acquisti di beni. Ad esempio motorini, elettrodomestici, barche, macchine agricole e rimorchi. Nello stesso spirito, è stato aiutato il settore automobilistico nel 2009, anziché tagliare le tasse. Invece, dato l’eccesso di capacità produttiva inutilizzata, avrebbe poco senso incentivare gli investimenti - come ha fatto ad esempio la Tremonti ter -. Gli investimenti aziendali ripartiranno una volta che sia ripartita la domanda di beni di consumo e l’export, prima di allora è inutile se non dannoso incentivarli.

Credo che il diavolo si nasconda nei dettagli. Se si estende la durata del sostegno fino alla fine dell’anno, presumibilmente la ripresa avrà già guadagnato respiro in modo autonomo. Per dare un efficace aiutino all’industria, meglio sarebbe restringere la durata di validità - fine luglio?-, non allungarla. Inoltre, un sussidio temporaneo che dura nove mesi comincerà a dare dipendenza.

C’è poi il problema dell’entità. Il governo ha messo in campo 300 milioni, circa lo 0,1 per cento del Pil del settore industriale. Anche con ipotesi molto favorevoli sull’effetto moltiplicativo delle somme stanziate, sono troppo pochi per rilanciare la crescita. Ma riconosco che nei momenti di crisi la coperta è sempre corta. Inoltre, 750 euro per un motorino sono una bella sommetta, ma il criterio per l’assegnazione è quello della rapidità del click. Non a caso, le categorie destinatarie dell’intervento hanno subito lamentato il rischio dell’esaurimento dei fondi - anche se il governo ha previsto la possibilità del travaso da una destinazione all’altra, a seconda del gradimento degli utenti -.

Sulla scelta dei settori da privilegiare, infine, hanno certamente pesato i dati della produzione industriale. La produzione industriale dei beni di consumo durevole era a 102 nell’aprile 2008 ed è scesa a 83 oggi; quella dei beni strumentali da 116 a 89, mentre quella dei beni intermedi da 106 a 76. Per tutti questi settori - i principali destinatari dei sostegni di ieri e di oggi - la crisi è stata una vera e propria Caporetto. Diverso per i beni di consumo non durevoli il cui livello era 106 ed è sceso a 103 oggi. Condivisibile l’idea di aiutare chi dalla crisi ha subito i colpi più violenti. Ma si è poi aggiunto anche il criterio dell’impatto ambientale e, incentivando la sostituzione di beni inquinanti con beni ecologici, si è arrivati anche ai motori nautici!

Quindi penso che, purché i dettagli delle misure attuative non finiscano per oscurare i sia pur piccoli benefici di crescita e di equità sociale che gli incentivi vorrebbero raggiungere, essi rappresentano solo un aiutino, dopo tutto, ma contengono un pericolo potenziale. Incentivi a tutti e per sempre, vietati dalla commissione europea, sarebbero la negazione del mercato e la morte di un’economia sana perché non si possono alimentare artificialmente imprese che non hanno più un futuro. È però doveroso fornire assistenza in circostanze eccezionali a settori in difficoltà in cui siano in corso ristrutturazioni costose dal punto di vista sociale.


Parola chiave: economia

Azione: privilegia le attività di sell-out per beneficiare degli incentivi pubblici a sostegno dell’economia ma predisponi in azienda soluzioni più durature.

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Parola Chiave: economia
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Risultati ad oggi
Come imprenditore e top manager, come valuta incentivi e sussidi statali a sostegno delle imprese?
20 %
sono indispensabili, soprattutto in momenti di crisi
15 %
la loro adozione va limitata a pochi casi eccezionali
60 %
la loro adozione va limitata a periodi molto brevi
5 %
non vanno adottati in alcun caso, perché distorcono le dinamiche competitive
0 %
altro (specificare nello spazio sottostante riservato ai suoi commenti)
Quali sono le forme di incentivo che ritiene più efficaci nell’attuale congiuntura?
25 %
incentivi agli investimenti
45 %
incentivi al consumo delle famiglie
30 %
riduzioni di imposte
0 %
altro (specificare nello spazio sottostante riservato ai suoi commenti)
Quale il settore da sostenere maggiormente?
16 %
beni di consumo
68 %
beni di consumo durevole
11 %
beni strumentali
0 %
beni intermedi
0 %
servizi
0 %
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(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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13/06/2012 15:51:57

Posizionamento alto di gamma e grandi volumi. Due ingredienti che ieri sembravano in contraddizione ma oggi sono possibili considerato che un altro miliardo di persone ha raggiunto nel mondo standard di consumi di tipo occidentale. Fiat ha alcune leve "italiane" da giocare meglio di come fa: design, arte, cultura, qualità della vita, localismi, campanili, cucina dovrebbero ispirare autovetture più connotate di italianità di quelle che vediamo. E attenzione a Chrysler! L'influenza esercitata su Mercedes è stata nefasta. Non si sono mai viste brutte mercedes come durante il periodo di collaborazione con gli americani.
Tony Vittuolo 2/22/2011 13:47

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13/06/2012 15:51:57

Un operatore indiano con cui siamo da tempo in relazione, mi fa presente che la politica indiana riconosce di aver perso la battaglia per il minor costo di produzione, da tempo vinta dalla Cina, e di aver deciso di concentrarsi su produzioni a maggior valore aggiunto. Se lo fanno gli indiani a maggior ragione dovremmo averlo già fatto noi italiani! Giusto il suo invito a riposizionare la gamma Fiat per le produzioni fatte in Italia: anche Marchionne & C. avrebbero dovuto muoversi da tempo su questa linea di cambiamento.
O. Vilunga 2/22/2011 10:13

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13/06/2012 15:51:57

L'Italia dei dati Istat non esiste. Abbiamo capito che l'Italia è formata da due regioni distinte e con produttività nettamente diversa. Il nord è tra le regioni più ricche e produttive d'Italia (tutti gli indicatori sono ben al di sopra della media europea). Il sud è a livelli straordinariamente più bassi (tutti gli indicatori sono ben al di sotto della media europea). C'è allora da chiederci perchè non creare condizioni di lavoro e d'investimento decisamente diverse. E' solo la demagogia che ci ha fatto far finta che esistesse l'Italia dell'Istat. Il risultato è un'unica politica economica e sociale mentre dovrebbero essere due diverse. Anche il sud troverebbe grande vantaggio da questo approccio e le nostre imprese sarebbero più competitive.
C. V. Tonfio 2/21/2011 18:59

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13/06/2012 15:51:57

L'organizzazione sia aziendale che personale gioca un ruolo vitale per permettere a ciascuno di ottimizzare le proprie capacità. Il secondo fattore è la voglia di lavorare
2/21/2011 16:57

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13/06/2012 15:51:56

I francesi fabbricano anche in Europa e fanno qui la maggior parte dei loro utili. Come mai Fiat non ci riesce? Il loro posizionamento è così diverso? Capisco il caso dei tedeschi, ma i francesi non mi pare abbiano posizionamenti molto alti. Quali sono le ragioni?
Giulio Giulino 2/28/2011 9:32

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13/06/2012 15:51:56

E' vero quanto scrive O. Vilunga. Gli indiani già vedono la necessità di un posizionamento medio-alto, figuriamoci noi europei! Altrimenti non abbiamo futuro
F.abio Borghi 2/27/2011 14:18

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13/06/2012 15:51:56

Noi ci occupiamo di costruire infrastrutture nel mondo e sviluppiamo nuovi vantaggi competitivi proprio attraverso la globalizzazione. Ad esempio, abbiamo sviluppato squadre di cinesi abili nel montaggio, esercizio e smontaggio di grandi macchinari specializzati, utilizzati per le gallerie. Sono squadre che hanno cominciato a lavorare in Cina ma che ora facciamo lavorare ovunque nel mondo, con grande soddisfazione di tutti.
M. Matteucci 2/23/2011 17:52

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13/06/2012 15:51:56

La nostra azienda, del settore automotive, ormai guarda alla globalizzazione con occhi diversi da quelli ipotizzati in letteratura:
1. produciamo local for local (cioè non spediamo più le merci da una parte all'altra del pianeta)
2. facciamo progettare localmente (solo così s'interpretano efficacemente le specifiche del mercato. Progettare in Italia per il mercato cinese è sbagliato perchè si concepiscono i prodotti in chiave occidentale - ridondanze e sofisticazioni - mentre il mercato chiede semplicità e affidabilità. I nostri progettisti italiani non sono più capaci a progettare così)
E. Brivio 2/23/2011 17:45

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13/06/2012 15:51:56

In questo momento i voti propendono per maggiore capacità di previsione e migliore allocazione delle risorse. Due aspetti critici per la produttività. Tutti gli altri servono, ma se non ci sono questi due il sistema non funziona
F. Orioni 2/23/2011 9:16

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13/06/2012 15:51:56

Produttività e posizionamento. Se per produttività ci riferiamo sia all'efficienza (costo per pezzo prodotto + tasso di saturazione degli impianti) e sia all'efficacia, cioè valore offerto al mercato, il posizionamento è già implicito nella produttività. E' evidente che nessuno può pensare di organizzare in modo molto produttivo una produzione che non interessa a qualcuno dei portatori d'interesse (clienti, ma anche azionisti, dipendenti, società, ecc.). Ma meglio essere chiari e mettere in evidenza le due dimensioni.
Paolo Liguoro 2/23/2011 9:7

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13/06/2012 15:51:56

Per la produttività delle nostre imprese non basta meno conflittualità e più collaborazione, auspicata da Fiat, ma un salto deciso verso la partecipazione, con un maggior coinvolgimento dei lavoratori. Nella governance relativa ai prerequisiti (salute, sicurezza, sviluppo professionale, ecc.) e nella redistribuzione della redditività.
Dario Rossi 2/22/2011 13:56