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Mag 2013
Numero n. 225
L’euro non c’entra con la mancata crescita

La mancata crescita in Italia e’ riconducibile all’euro? Questa e’ la domanda che si pongono imprese e cittadini. L’andamento, negli ultimi quarant’anni, di cinque dati chiave dell'economia chiariscono le idee.

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La mancata crescita in Italia e’ riconducibile all’euro? Questa e’ la domanda che si pongono imprese e cittadini. L’andamento, negli ultimi quarant’anni, di cinque dati chiave dell'economia chiariscono le idee.





L’Italia non cresce e l’euro c’entra davvero poco. Se fosse colpa della moneta, anche gli altri stati dell’area euro ne risentirebbero, invece sono cresciuti in misura analoga agli altri paesi avanzati.
Inoltre, il differenziale di crescita del reddito pro capite tra l’Italia e gli altri paesi avanzati, dagli anni settanta ad oggi, mostra un decremento di mezzo punto ogni decennio, euro o non euro. La conclusione non e' molto diversa se guardiamo alla crescita dell’occupazione. Qui l’Italia ha fatto un po’ meglio ed e' in linea con gli altri paesi avanzati, un dato incoraggiante. Ma anche in questo caso l’euro non sembra fare alcuna differenza.

Dovremmo sacrificare l’euro sull’altare della crescita?
E’ vero che i paesi dell’area euro hanno sperimentato una politica fiscale piu' restrittiva sia prima della crisi, sia durante la stessa, perche' hanno un debito pubblico superiore, in rapporto al Pil, rispetto agli altri paesi avanzati. Quindi un minor margine di manovra per stabilizzare il ciclo. L’andamento relativo dell’avanzo primario è interamente spiegabile sulla base di questa differenza.
Sulla questione della competitivita', ci si domanda se non fosse stato piu' facile quando si poteva svalutare. Per la competitivita' conta il cambio reale, cioe' correggendo il cambio per il differenziale d’inflazione con i partner commerciali. La serie storica del cambio reale mostra una sostanziale stabilita' con fluttuazioni temporanee. La svalutazione del cambio e' uno strumento utile per recuperare competitivita' nel breve periodo, ma non nel lungo termine. Difficile quindi argomentare che i gravi problemi di crescita dell’Italia dipendano dal regime monetario.

La ricerca cui riferisce questo editoriale mi ha convinto definitivamente del fatto che l’euro sia solo una moneta. Le vere ragioni della mancata crescita italiana sono ben note e sono tutte ragioni interne. Ed e' su queste che bisogna agire. L’euro non deve essere un tabu', ma neppure un comodo alibi.

Applicazione in azienda: asseconda la politica monetaria dell’area euro, tesa a minore volatilita'
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  • Non e' l'euro il colpevole della mancata produttivita', e quindi competitivita', di alcune aree dell'economia italiana. Le ragioni sono molto più' sistemiche e richiedono azioni su più' fronti.
    Fabrizio Fresca Fantoni
  • Sono totalmente d'accordo con l'articolo. Un Paese deve creare valore, e quando non riesce a farlo entra in situazione di crisi. Questo è ciò che è successo al nostro Paese che ha scaricato per decenni sulle future generazioni (la nostra) il peso di una politica miopemente assistenzialita e diseconomica. Non è la valuta che crea problemi. Anzi forse senza l'ingresso nella moneta comune saremmo stati tentati di proseguire in una deriva pericolosa. Diverso è il discorso sulle modalità di intervento per sanare la situazione in essere: la mancanza di una vera politica economica comune, e l'insistenza sulla via del rigore a tutti i costi anziché sullo sviluppo, ha creato in Italia ed in tutto il continente i problemi che sono sotto gli occhi di tutti. Anche la Germania se ne sta accorgendo, e forse allenterà a breve la sua intransigenza con benefici per tutti. È però pericoloso e demagogico demonizzare l'Euro, soprattutto se ciò viene fatto in modo strumentale per conquistare vantaggi elettorali di breve periodo. Luca Orselli
  • Quando si ricorreva alla svalutazione competitiva, si scaricava sul costo del debito pubblico l'incapacità delle imprese di competere con la produttività. Con l'euro questo non è più possibile e così i nostri prodotti possono contare solo sul contenuto di qualità, design, tecnologia. Il bicchiere e quindi mezzo pieno! Lavorando sulla produttività il nostro sistema produttivo potrà assumere un ruolo molto più importante sul mercato globale.
    Andrea Ferri
  • Il focus dovrebbe/ potrebbe essere spostato anche sulle altre monete. Uscire dall'euro o svalutarlo non è la ricetta per la competitività, ma accettare che la moneta cinese, in un paese che cresce quasi del 8 % anno, non si apprezzi significativamente, si traduce in una politica monetaria altrettanto sbagliata. Conosciamo (forse in parte) le ragioni, probabilmente legate agli accordi di scambio ed al debito sovrano ma ciò non toglie che un paese come la Cina, già avvantaggiato da costi bassi, si avvantaggi ulteriormente , (e mi permetto di dire anche in modo non corretto) attraverso una forzatura della sua distinta , legata al mantenimento di un cambio che certamente non è coerente con il valore della moneta. Chi combatte per la competitività tutti i giorni, questo lo sa molto bene. Spostiamo allora i riflettori dall'euro alle altre monete e probabilmente le domande da porsi potrebbero cambiare. Grazie per l'attenzione Fulvio Cerutti
  • E' assodato che la mancata crescita non dipende dall'Euro ma è questione interna. Sul fronte comunitario, da più parti si pensa che dopo le elezioni tedesche di questo autunno ci possa essere un rilancio del progetto europeo con passi concreti nel cedere sovranità: tesoro, difesa, sicurezza, fiscalità. Queste sono le cose che contano e che il livello continentale potrebbe svolgere meglio di quello nazionale.
    Piercarlo Ceccarelli
  • Perfettamente d'accordo sulla considerazione che l'Euro non debba essere nè un tabù, nè un comodo alibi. Una moneta esprime la maggiore o minore forza di un Paese. L’euro è una moneta dietro la quale non stanno gli Stati Uniti d’Europa, ma un insieme di Paesi diversi che marciano incerti verso una graduale integrazione. In Italia, la minore efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione, del sistema giudiziario e dell'istruzione, come il peso dello spread rispetto ai tassi d'interesse tedeschi, rappresentano tare tutte preesistenti all’euro ed incidenti su una economia ora più appesantita anche dalla minore produttività di molte imprese esposte a mercati aperti. L’Italia, grazie a tassi d'interesse vicini a quelli tedeschi conseguenti all’ingresso nell’euro, si è avvantaggiata per quasi un decennio di una riduzione di oneri del debito pubblico che amministrazioni pubbliche sagge avrebbero dovuto destinare alla riduzione del debito stesso. Mentre invece nel medesimo periodo le stesse hanno provocato un aumento della spesa pubblica corrente che da una base 100 è salita a 150 circa, con ovvi effetti di crescita del debito pubblico italiano. E' un caso che i Paesi dell'eurozona che hanno da sempre una vocazione virtuosa all'amministrazione dello stato abbiano tratto beneficio dall'euro e, invece, chi ha proseguito sulla strada dello sperpero (Grecia, Spagna, Cipro, ... ) si trovi oggi in crisi?
    Carlo Martelli
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 27/05/2013 13:13:01

La discussione sull’euro tabù o comodo alibi vi ha coinvolti numerosi.
L’appartenenza all’area euro viene valutata a impatto nullo sulla redditivita' dell'aziende da nove leader su dieci, mentre uno su dieci dichiara un impatto positivo.
La svalutazione competitiva nascondeva l'incapacità delle imprese italiane di competere con la produttività. Ora si compete più con la qualità, design, tecnologia e ciò ci ha portato nelle economie evolute.

C'è consenso nell'assolvere l'euro quale ipotetico colpevole della mancata produttivita', quindi competitivita', di alcune aree dell'economia italiana. Le ragioni sono molto piu' sistemiche e richiedono azioni su piu' fronti, tutti di natura interna al paese (costi della P.A., giustizia, lavoro, fisco, burocrazia, governance).
La vocazione virtuosa all'amministrazione dello stato fa la differenza tra Europa mediterranea e paesi del Nord e l'euro non c'entra. L’Italia, grazie a tassi d'interesse vicini a quelli tedeschi conseguenti all’ingresso nell’euro, si è avvantaggiata per quasi un decennio di una riduzione di oneri del debito pubblico che amministrazioni pubbliche sagge avrebbero dovuto destinare alla riduzione del debito stesso.

Sul fronte comunitario, da più parti si pensa che, dopo le elezioni tedesche di questo autunno, ci possa essere un rilancio del progetto europeo con passi concreti nel cedere sovranità: tesoro, difesa, sicurezza, fiscalità.
Spostiamo allora i riflettori dall'euro alle altre monete. Ad esempio, perché accettare che la moneta cinese, in un paese che cresce quasi del 8 % anno, non si apprezzi significativamente? La politica monetaria dovrebbe riparare queste distorsioni.

20/05/2013 16:16:15

Non credo che l'euro sia il responsabile dei problemi dell'Italia.
Inoltre, nei primi anni di adozione, alcuni ne hanno approfittato convertendo alla pari i prezzi Lira/euro con aumento del fatturato.
D'altro canto un euro piu' debole agevolerebbe ulteriormente le esportazioni, visto che oggi le aziende che esportano sono quelle che ottengono i migliori risultati.
Tuttavia mi sembra che l'andamento della quotazione della valuta segua piu' logiche speculative che reali.