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Mar 2010
Numero N. 81
Quando la finanza fa crescere le aziende?
La crisi ha messo in evidenza pregi e difetti delle varie forme di intermediazione finanziaria: borsa, banche, fondi. Ha mostrato che la finanza fa crescere le aziende solo quando s’integra in un progetto industriale del quale diventa leva di redditività e acceleratore di sviluppo. Ma la finanza non capisce l’impresa e viceversa perché c’è una sostanziale differenza di competenze. E’ ora di costruire una cultura comune.

I fondi di private equity hanno coinvolto in Italia circa 1.000 aziende le cui modeste prestazioni realizzate sono state spesso limitate al recupero di efficienza, mentre la crescita si è registrata solo nel 10% dei casi.
Telecom, madre di tutte le operazioni a leva, Safilo, Seat, Burani, Ferretti, Panini, Riva, Saeco, Castelgarden, Piaggio - poi acquisita da Colaninno -, ecc.. Tutti esempi limite di aziende che, nel tentativo di ripagare il debito, hanno sacrificato gli investimenti, hanno tagliato il marketing e la pubblicità, aumentato i debiti verso i fornitori, mortificato la produzione e l’evoluzione tecnologica.

Fare impresa non è una questione di denaro ma di clienti, prodotti, collaboratori, prezzi, logistica e concorrenza. Il denaro è il premio per il lavoro ben fatto, quando clienti soddisfatti riconoscono il valore che l’impresa dà loro in termini di prodotti, servizi e rassicurazioni. Per far meglio il loro lavoro e sostenere gli investimenti, manager e imprenditori devono impegnarsi a spiegare agli investitori, ai manager dei fondi e ai mezzi di comunicazione, le interconnessioni alla base dell’impresa in modo che questi capiscano cosa significa gestire un’azienda che opera nell’economia reale e si sviluppi, così, una cultura comune.

Invece gli esperti di finanza - data la natura fortemente specializzata della loro conoscenza - vivono in un loro mondo dove ignorano gli aspetti vitali che accadono nell’economia reale, cioè non finanziaria. Gli intermediari finanziari, investitori di varia natura, non radunano le forze per sviluppare l’impresa e non si alleano l’un l’altro in qualità di comproprietari. Sono interessati al prezzo dell’azione e al dividendo e non a capire il vero contesto in cui agisce l’impresa e i meccanismi che la fanno funzionare.
E’ rimasto famoso l’invito di Enrico Cuccia di Mediobanca a non visitare le aziende per non innamorarsene! Non a caso, si ritiene che Cuccia abbia frenato lo sviluppo industriale dell’Italia di quegli anni, permettendo a un piccolo gruppo di imprenditori di mantenere il potere, senza avere le capacità di gestione e le risorse finanziarie da investire. Si capisce, allora, perché la finanza si limita ad applicare la propria competenza al business plan fornito dall’azienda, ricercandone valore estraibile.

La mia proposta agli intermediari finanziari è di adottare quattro regole per avere successo: operare con leva moderata, impegnarsi realmente nello sviluppo delle aziende partecipate, assumere una prospettiva di medio-lungo periodo, almeno 6 anni, e investire nella comprensione profonda delle interconnessioni alla base dell’impresa per migliorare il piano industriale. Così i fondi di private equity potrebbero risalire dalle modeste prestazioni - Irr 4% - in cui sono caduti nel 2009.
La mia proposta alle aziende clienti è di avvalersi della finanza straordinaria per il valore che le è proprio: la leva per migliorare la redditività e la liquidità per accelerare l’attuazione del piano industriale.
Le imprese, non solo familiari, in situazione di stallo o con ambizioni di crescita che non riescono a esprimersi, trarrebbero beneficio da adeguati cambiamenti della proprietà, della governance e della strategia industriale con miglioramenti dei risultati e vantaggi per tutti.

Parola chiave: governance

Azione: seleziona gli intermediari finanziari che rispondono ai requisiti illustrati. Cogli ogni occasione per spiegare ad azionisti e finanziatori cosa significa fare impresa.


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Parola Chiave: governance
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Risultati ad oggi
Se la sua azienda avesse opportunità di crescita, come la finanzierebbe oggi dopo la crisi?
27 %
solo autofinanziamento
3 %
solo debito (quindi banche)
43 %
con partner industriali (merger & acquisition e joint venture)
5 %
fondi (private equity)
8 %
borsa
5 %
non so
8 %
altro (specifichi nello spazio sottostante riservato al suo parere)
Come ha finanziato la sua azienda negli ultimi due anni?
45 %
solo autofinanziamento
39 %
solo debito (quindi banche)
0 %
con partner industriali (merger & acquisition e joint venture)
0 %
fondi (private equity)
3 %
borsa
0 %
non so
12 %
altro (specifichi nello spazio sottostante riservato al suo parere)
Quale approccio è in grado di creare più valore sostenibile dell’azienda?
3 %
continua pressione sulle prestazioni trimestrali
97 %
visione di medio-lungo periodo
0 %
non so
0 %
altro (specifichi nello spazio sottostante riservato al suo parere)
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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13/06/2012 15:51:54

L'organizzazione sia aziendale che personale gioca un ruolo vitale per permettere a ciascuno di ottimizzare le proprie capacità. Il secondo fattore è la voglia di lavorare
2/21/2011 16:57

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13/06/2012 15:51:53

I francesi fabbricano anche in Europa e fanno qui la maggior parte dei loro utili. Come mai Fiat non ci riesce? Il loro posizionamento è così diverso? Capisco il caso dei tedeschi, ma i francesi non mi pare abbiano posizionamenti molto alti. Quali sono le ragioni?
Giulio Giulino 2/28/2011 9:32

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13/06/2012 15:51:53

E' vero quanto scrive O. Vilunga. Gli indiani già vedono la necessità di un posizionamento medio-alto, figuriamoci noi europei! Altrimenti non abbiamo futuro
F.abio Borghi 2/27/2011 14:18

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13/06/2012 15:51:53

Noi ci occupiamo di costruire infrastrutture nel mondo e sviluppiamo nuovi vantaggi competitivi proprio attraverso la globalizzazione. Ad esempio, abbiamo sviluppato squadre di cinesi abili nel montaggio, esercizio e smontaggio di grandi macchinari specializzati, utilizzati per le gallerie. Sono squadre che hanno cominciato a lavorare in Cina ma che ora facciamo lavorare ovunque nel mondo, con grande soddisfazione di tutti.
M. Matteucci 2/23/2011 17:52

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13/06/2012 15:51:53

La nostra azienda, del settore automotive, ormai guarda alla globalizzazione con occhi diversi da quelli ipotizzati in letteratura:
1. produciamo local for local (cioè non spediamo più le merci da una parte all'altra del pianeta)
2. facciamo progettare localmente (solo così s'interpretano efficacemente le specifiche del mercato. Progettare in Italia per il mercato cinese è sbagliato perchè si concepiscono i prodotti in chiave occidentale - ridondanze e sofisticazioni - mentre il mercato chiede semplicità e affidabilità. I nostri progettisti italiani non sono più capaci a progettare così)
E. Brivio 2/23/2011 17:45

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13/06/2012 15:51:53

In questo momento i voti propendono per maggiore capacità di previsione e migliore allocazione delle risorse. Due aspetti critici per la produttività. Tutti gli altri servono, ma se non ci sono questi due il sistema non funziona
F. Orioni 2/23/2011 9:16

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13/06/2012 15:51:53

Produttività e posizionamento. Se per produttività ci riferiamo sia all'efficienza (costo per pezzo prodotto + tasso di saturazione degli impianti) e sia all'efficacia, cioè valore offerto al mercato, il posizionamento è già implicito nella produttività. E' evidente che nessuno può pensare di organizzare in modo molto produttivo una produzione che non interessa a qualcuno dei portatori d'interesse (clienti, ma anche azionisti, dipendenti, società, ecc.). Ma meglio essere chiari e mettere in evidenza le due dimensioni.
Paolo Liguoro 2/23/2011 9:7

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13/06/2012 15:51:53

Per la produttività delle nostre imprese non basta meno conflittualità e più collaborazione, auspicata da Fiat, ma un salto deciso verso la partecipazione, con un maggior coinvolgimento dei lavoratori. Nella governance relativa ai prerequisiti (salute, sicurezza, sviluppo professionale, ecc.) e nella redistribuzione della redditività.
Dario Rossi 2/22/2011 13:56

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13/06/2012 15:51:53

Posizionamento alto di gamma e grandi volumi. Due ingredienti che ieri sembravano in contraddizione ma oggi sono possibili considerato che un altro miliardo di persone ha raggiunto nel mondo standard di consumi di tipo occidentale. Fiat ha alcune leve "italiane" da giocare meglio di come fa: design, arte, cultura, qualità della vita, localismi, campanili, cucina dovrebbero ispirare autovetture più connotate di italianità di quelle che vediamo. E attenzione a Chrysler! L'influenza esercitata su Mercedes è stata nefasta. Non si sono mai viste brutte mercedes come durante il periodo di collaborazione con gli americani.
Tony Vittuolo 2/22/2011 13:47

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13/06/2012 15:51:53

Un operatore indiano con cui siamo da tempo in relazione, mi fa presente che la politica indiana riconosce di aver perso la battaglia per il minor costo di produzione, da tempo vinta dalla Cina, e di aver deciso di concentrarsi su produzioni a maggior valore aggiunto. Se lo fanno gli indiani a maggior ragione dovremmo averlo già fatto noi italiani! Giusto il suo invito a riposizionare la gamma Fiat per le produzioni fatte in Italia: anche Marchionne & C. avrebbero dovuto muoversi da tempo su questa linea di cambiamento.
O. Vilunga 2/22/2011 10:13

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13/06/2012 15:51:53

L'Italia dei dati Istat non esiste. Abbiamo capito che l'Italia è formata da due regioni distinte e con produttività nettamente diversa. Il nord è tra le regioni più ricche e produttive d'Italia (tutti gli indicatori sono ben al di sopra della media europea). Il sud è a livelli straordinariamente più bassi (tutti gli indicatori sono ben al di sotto della media europea). C'è allora da chiederci perchè non creare condizioni di lavoro e d'investimento decisamente diverse. E' solo la demagogia che ci ha fatto far finta che esistesse l'Italia dell'Istat. Il risultato è un'unica politica economica e sociale mentre dovrebbero essere due diverse. Anche il sud troverebbe grande vantaggio da questo approccio e le nostre imprese sarebbero più competitive.
C. V. Tonfio 2/21/2011 18:59