Il marketing tradizionale investe sulla ricerca di clienti nuovi, mentre i social media rendono più redditizi gli investimenti sulla fedeltà dei clienti già acquisiti. Come?
Il marketing tradizionale investe sulla ricerca di clienti nuovi, mentre i social media rendono più redditizi gli investimenti sulla fedeltà dei clienti già acquisiti. Come?
Tre giorni prima dell’approdo in borsa di Facebook, il gigante GM annunciava che avrebbe smesso di pubblicizzare i propri prodotti sul social network più usato al mondo perché deluso dai risultati. Gli operatori legati alle passate logiche faticano ad avere ritorni da strategie nuove e più impegnative.
La relativa economicità degli investimenti pubblicitari in social media ha portato molte aziende a procedere per tentativi, aprendo pagine Facebook e account Twitter. Però manca l’impegno su contenuti, innovazione e ascolto del mercato. Si è passati dalla comunicazione unidirezionale degli spot, alla rete di comunicazioni dove si interagisce direttamente con i propri clienti. Quindi si conversa essendone all’altezza! Ecco l’essenza dell’esperienza che ogni cliente vive con il marchio senza l’intervento diretto dell’azienda.
Il commento di Ford all’abbandono di Facebook da parte di GM è stato: “I nostri annunci su Facebook sono efficaci in quanto strategicamente integrati a contenuti coinvolgenti ed interattivi…”. Ford ha 1,5 milioni di “mi piace” su Facebook rispetto ai 400.000 di GM. Oltre a calibrare la frequenza e l’intensità della comunicazione, l’azienda deve decidere cosa ottenere e come integrarla con le altre attività di marketing.
Ricordo che l’obiettivo dell’azienda è tradizionalmente conquistare clienti nuovi per compensare i clienti perduti. La situazione è sostenibile fino a quando il tasso di sostituzione non mette in pericolo il volume d’affari. A fronte di considerevoli risorse investite nei nuovi clienti, i ritorni sono bassi. Mentre l’attenzione prestata alla gestione dei clienti esistenti e a prevenire le “fughe” si rivela modesta. Osservo che il modello partecipativo dei social media rovescia questa logica facendo leva sulla fedeltà dei clienti serviti quali generatori di business.
La crescente visibilità dei clienti, in particolar modo quelli insoddisfatti, può rendere la situazione difficile. Un servizio post-vendita inadeguato può annullare i vantaggi di un prodotto eccellente compromettendo irrimediabilmente la percezione del marchio.
La relazione con il cliente non è più un episodio sporadico, limitato ai momenti di acquisto e riacquisto, bensì un percorso in cui anche i momenti di non-acquisto possono generare acquisti di altri clienti. E’ incredibile come, ad acquisto avvenuto, numerose aziende trascurino il cliente, senza coglierne il pieno potenziale attraendolo nel proprio universo.
Questo legame costante è il risultato di un lavoro in profondità. Solo ascoltando si può rispondere sia a messaggi negativi - gestione delle crisi - sia a messaggi positivi - amplificando il passaparola -. Il cliente va guidato con offerte e promozioni che lo coinvolgono e lo fanno sentire vicino al marchio fino a ricevere contributi su come dovranno essere i prodotti futuri.
Ben gestiti i social media rappresentano una vetrina straordinaria, onnipresente, un’opportunità imperdibile per ottenere visibilità e business intorno al proprio marchio.
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Sul CdS del 12 maggio un articolo di M. Covacich riferiva di uno studio i cui punti per me più interessanti sono:
- una vera isteria di massa "tanto insisto per mettermi in luce, quanto vivo nella costante angoscia di non essere amato abbastanza. L'attenzione degli altri mi gratifica senza riuscire mai a saziarmi, nè più nè meno degli altri piaceri materiali. Il che crea un paradosso: l'aumento costante di spazi di comunicazione, soprattutto nell'univeso rete, ha lo scopo primario di nutrire il mio egocentrismo... e mi provoca un'immediata sensazione di piacere.
- Tale deriva può essere addebitata alla nuova complessità del mondo esterno. Se la realtà mi assedia coi tratti sempre più inafferrabili e proteiformi dei suoi problemi, io mi rifugio nel monologo esteriore. Se le cose fuori di me si sono fatte illeggibili, io leggo me stesso, ripasso senza posa l'unico centimetro del pianeta di cui so abbastanza.
- Inutile dire che anch'io in questo momento, a livello neanche troppo subliminale, scrivo per placare il mio narcisismo e gettare un'altra verginella innocente nella sua bocca spalancata. E non c'è dubbio che affrontare il mondo là fuori è un'esperienzafaticosa, per non dire scorcentante.
Piercarlo Ceccarelli