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Apr 2014
Numero n. 267
Tempo determinato o indeterminato?

Se lei, capo azienda, potesse scegliere, preferirebbe il contratto a tempo indeterminato? Con agevoli meccanismi per allontanare il lavoratore quando non fosse necessario alla produzione? Dopo il decreto Renzi, si tende a considerare i contratti a termine soluzioni tampone e a riproporre il contratto a tempo indeterminato con "incentivi". Sara' la volta buona?
Speriamo. Ma come promuovere il contratto a tempo indeterminato? Ecco proposte concrete.

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Se lei, capo azienda, potesse scegliere, preferirebbe il contratto a tempo indeterminato? Con agevoli meccanismi per allontanare il lavoratore quando non fosse necessario alla produzione? Dopo il decreto Renzi, si tende a considerare i contratti a termine soluzioni tampone e a riproporre il contratto a tempo indeterminato con "incentivi". Sara' la volta buona?
Speriamo. Ma come promuovere il contratto a tempo indeterminato? Ecco proposte concrete.



L’esperto giuslavorista Filippo Menichino ha redatto per Impronte un ampio contributo sulla nuova normativa, in cui sono stati trattati argomenti di interesse generale. La rimando all’approfondimento pubblicato nella sezione "i nostri esperti".
E’ molto probabile che un imprenditore non voglia perdere il patrimonio di esperienze di un lavoratore che abbia dimostrato capacita' e merito. Allora perche' non prevedere un contratto unico a tempo indeterminato, magari con un lungo periodo di prova?
Dal 1962 in poi, il legislatore ha cercato di proteggere il contratto a tempo indeterminato, ostacolando quello a tempo determinato con regole capestro che si sono via via allentate in un confronto con la realta' del mercato. Il legislatore si e' reso conto che le aziende avevano necessita' organizzative e produttive ed e' stato costretto a liberalizzare. Di conseguenza si e' fatto strada il contratto a tempo determinato come alternativa sempre piu' percorribile. Difatti, oggi il 70% delle assunzioni si configura come tale poiche' piu' vantaggioso per le aziende.
La soluzione piu' semplice sarebbe agire sulla non operativita' dell'articolo 18 per i primi tre anni del contratto unico di inserimento. Potrebbe non essere sufficiente, in quanto il contratto a tempo costa di meno.
Allora si potrebbe rendere piu' competitivo il contratto a tempo indeterminato agendo sulla leva fiscale e contributiva? Ma anche questa strada sarebbe in salita, poiche' defiscalizzare costa. Giocoforza ritornare sull'articolo 18 e sui costi della risoluzione del rapporto.
Le riforme, per avere successo, debbono soddisfare gli interessi collettivi, non solo quelli di una parte. Bisognera' pertanto convincere il Paese che allentare le rigidita' del contratto indeterminato soddisfa anche un interesse del lavoratore. A meno che si vogliano lasciare giovani e meno giovani nella palude del contratto a tempo. Da questo problema non si puo' scappare e neppure si puo' fuggire dalla nemesi della storia.

Applicazione in azienda: gestisci le risorse umane della tua azienda consapevole che si tratta del capitale piu' prezioso per la sostenibilita' dell’impresa
Parola Chiave: risorse umane
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Risultati ad oggi
In quanto tempo prevede che in Italia sara' vigente una normativa del lavoro piu' vicina alla media europea?
0 %
entro un anno
17 %
entro tre anni
83 %
piu' avanti
0 %
mai
0 %
non so (specifichi nello spazio per i suoi commenti)
Qual e' la sua opinione sull’attuale dibattito sui contratti di lavoro?
  • Fare convergere i contratti solo verso il tempo indeterminato? E' una proposta insensata. Allora come dare un'opportunità di lavoro ai part-time, agli studenti, ai giovani, alle donne con bambini piccoli, ai disoccupati? In Germania l'innovazione più importante sono proprio stati i mini-job, contratti atipici che esentano il lavoratore da qualsiasi tassa e contributo e prevedono tasse e contributi agevolati per il datore di lavoro. La cifra max è 450 euro al mese (tra i 450-850 per i midi-job).
  • Rendere più flessibili i contratti di lavoro a tempo determinato non fornisce una risposta sostenibile al futuro dei giovani: più precarietà e dopo tre anni di rinnovi nessuna garanzia di stabilità. I risultati della liberalizzazione dei contratti a termine misurati in altri paesi si rivelano non confortanti: una vita lavorativa con più contratti temporanei, meno giorni di lavoro all’anno (minore produttività) e salari più bassi (scarsa fidelizzazione all’azienda e aumento del divario retributivo tra contratti a tempo determinato e indeterminato). È opportuno intervenire sul contratto del lavoro a tempo indeterminato, riducendone i costi della risoluzione del rapporto. Benedetta Ragazzola
    Benedetta Ragazzola
  • Il mondo del lavoro in Italia è diviso in due categorie: i facilmente licenziabili (precari, tempo determinato e piccole aziende con meno di 15 dipendenti) e i difficilmente licenziabili (aziende pubbliche e aziende private con più di 15 dipendenti). Questa “segmentazione” non giova né alla produttività, che deve essere il primo vero obiettivo di un’azienda, né alla conseguente crescita. È in questo mondo a due velocità che risiede il problema. Questo approccio basato su due tipologie contrattuali risulta poco attuabile, elevando le differenze tra i “tutelati” e i “non tutelati”. Meglio un contratto unico con costi di risoluzione ragionevoli e sussidio di disoccupazione.
    Fabrizio Fresca Fantoni
  • Concordo con il nostro esperto: diminuire il costo di risoluzione del rapporto nel caso di tempo indeterminato; aumentare il costo nel caso di quello a tempo determinato. La leva principale e' il costo della risoluIone del contratto.
    Piercarlo Ceccarelli
  • Personalmente ritengo che il limite dei contratti a tempo indeterminato non sia l'impossibilità di licenziamento e l'art.18 sia un falso problema. Il CCNL pone delle regole a entrambe le parti e non è difficile rispettarle. Inoltre in Italia le realtà con un numero inferiore ai 15 dipendenti sono la maggioranza rispetto alle grandi aziende e quindi sono svincolate da buona parte dell'art.18. Il motivo per cui vengono scelti contratti a tempo determinato è perchè sono meno onerosi, (vedi inquadramento co.co.pro e co.co.co), rispetto ai proibitivi contratti a tempo indeterminato. Uno dei maggiori costi per le aziende è la formazione, che sommata ad una contribuzione eccessiva scoraggia le assunzioni, ne consegue che l'imprenditore ne assume e nemmeno fa formazione, favorendo persone con maggiore preparazione solo per i periodi di necessità. La nostra piccola azienda ha di recente assunto un giovane laureato con un contratto di apprendistato, consapevole che la persona su cui si è puntato da li a qualche anno avrà un inquadramento a tempo indeterminato, ma sarà anche una risorsa per il futuro dell'azienda. Solo la lungimiranza degli imprenditori e un forte ridimensionamento del cuneo fiscale potrà spostare l'attuale situazione del lavoro in un potenziale circolo virtuoso. giorgio
(*) La percentuale è riferita al totale dei votanti

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Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 18/05/2014 17:39:37

Filippo Menichino invia questa precisaIone.
Il contratto a tempo indeterminato, anche se non eccessivamente costoso, non può soddisfare tutte le variegate necessità dell'impresa e dei lavoratori. Deve essere dato uno spazio per i lavori che debbono svolgersi entro un tempo determinato, nonché è giusto tutelare le esigenze lavorative di studenti, donne sposate, lavoratori che non possono lavorare a tempo pieno eccetera; in sostanza i cosiddetti ' mini job' che possono contare su una favorevole tassazione ed una contribuzione ridotta al minimo. Per tali situazioni qualcosa del genere esiste già (i contratti occasionali e accessori) e personalmente sarei molto favorevole ad una piccola liberalizzazione tenendo conto naturalmente delle risorse finanziarie dello Stato.

Piercarlo Ceccarelli
Piercarlo Ceccarelli 22/04/2014 11:39:18

Tiriamo le fila della discussione...

La maggior parte dei partecipanti al dibattito non crede che la normativa sul lavoro in Italia possa avvicinarsi alla media europea in tempi brevi. Solo 2 su 10 lo vede possibile entro 3 anni, 8 su 10 oltre!

Ma c’è forte consenso sulla natura della soluzione. L’invito chiaro è a non cercarla articolando meglio le distinzioni tra le due categorie (tempo determinato e tempo indeterminato) perché, in questo modo, si accentua la differenza tra i facilmente licenziabili (precari, tempo determinato e piccole aziende con meno di 15 dipendenti) e i difficilmente licenziabili (aziende pubbliche e aziende private con più di 15 dipendenti). Cercarla, invece, in un contratto unico con tre ingredienti principali: la risoluzione del contratto deve diventare possibile a costi ragionevoli, senza pretendere sempre e comunque il reintegro, un sussidio deve proteggere chi perde il lavoro e si deve attivare un forte impegno di riqualificazione e reimpiego. La presenza di due contratti, infatti, non giova alla produttività, il primo vero obiettivo di un’azienda, ed eleva le differenze sociali tra tutelati e non.

La questione culminante risiede nei costi associati alla risoluzione del contratto, al sussidio e alla riqualificazione. E nella quota da far pagare al datore di lavoro, al lavoratore e alla collettività.

Calogero Immordino
Calogero Immordino 15/04/2014 10:03:02

L’articolo 18 deve consentire la possibilità di licenziare garantendo al lavoratore un equo indennizzo.
Oggi un lavoratore a progetto costa poco al datore di lavoro e non gode di alcuna garanzia poiché nasce come contratto per consulenti, liberi professionisti, lavoratori autonomi: l'utilizzo che si è fatto negli anni di questo istituto di diritto ha consentito alle imprese di assumere forza lavoro "dipendente" pagando al contempo meno tasse e contributi.
Per rendere più vantaggiosa l'assunzione con contratti a tempo indeterminato occorre lavorare sul taglio del cuneo fiscale, rendendo l'assunzione fiscalmente pìù competitiva rispetto ai contratti atipici.
Il risparmio derivante consentirebbe alle aziende di investire nella formazione del lavoratore aumentandone la produttività e garantendogli al tempo stesso una "buona uscita" in caso di licenziamento legata agli anni di lavoro ed all'esperienza maturata.